Il dolore muscolo-scheletrico nell'anziano - Pathos

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Il dolore muscolo-scheletrico nell'anziano

Musculoskeletal pain in elderly patient

Michele Cannone
Unità Operativa di Medicina Ospedale Distrettuale
AUSL BAT Canosa, Bari
Dario Cova
Primario Emerito Onco-Geriatria ASPIMM e SePAT
Milano Scuola di Specializzazione in Farmacologia Medica
Università degli Studi di Milano
Review
Pathos 2010, 17; 3; 2010, Sep 21
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Riassunto  Il dolore dell’apparato muscolo-scheletrico, in cui si sommano gli effetti dell’artrosi-artrite e dell’osteoporosi, è molto diffuso; se non trattato adeguatamente, può costituire causa di invalidità permanente con perdita di autonomia e, nei casi più gravi, causa di morte. La sottovalutazione e l’inadeguato trattamento di questo tipo di dolore nell’anziano sono stati oggetto di diverse verifiche di cui si riportano i dati in questa relazione.
Summary  Musculoskeletal pain in arthritic and osteoporotic elderly patients is very diffused; if not adequately treated, can constitute cause of permanent invalidity with loss of autonomy, and, in the most serious cases, deaths’cause. The underestimation and the inadequate treatment of pain in the elderly have been object of many studies, whose data are reported in this review.
Parole chiave  Dolore cronico, anziani, apparato muscolo-scheletrico
Key words Chronic pain, elderly, musculoskeletal apparatus

Introduzione
Nel paziente anziano tutte le problematiche fisiche e psicologiche inerenti la malattia, a cominciare dal fenomeno dolore, acquistano un significato particolare in relazione al ridotto performance status legato all’età e alle comorbilità, ove le patologie cronico-degenerative quali l’artrosi e l’osteoporosi rivestono un ruolo di primo piano.
Da studi epidemiologici recenti che riguardano il nostro Paese, risulta che almeno 5 milioni di persone, di cui il 60 per cento anziani, soffrono di patologie osteo-degenerative associate a sintomatologia dolorosa. I dati statistici mostrano, infatti, una maggiore diffusione di malattie a carattere cronico-degenerativo (Tabella 1) e ciò spiega il progressivo incremento con l’età della condizione di disabilità ed handicap.
Sotto la generica etichetta di dolore muscolo-scheletrico si celano numerose e diversissime condizioni: dolore cervicale, dorsalgia, artrosi, artrite reumatoide, dolore muscolare cronico, fino a forme più complesse coinvolgenti anche il tessuto connettivo, solo per citarne alcune. Queste forme possono presentare grande varietà di quadri clinici e sintomi associati, o condividere meccanismi eziopatogenetici simili o analoghi potenziali trattamenti. In comune hanno sicuramente il dolore, spesso non adeguatamente curato, come dimostrano i dati epidemiologici.
Riconoscere precocemente il  dolore muscolo-scheletrico e curarlo in modo efficace è assai importante per ottenere il recupero della funzionalità e permettere al paziente una qualità di vita ottimale.
Troppo spesso, invece, il sintomo dolore viene sottovalutato e, quindi, sottotrattato. Ne consegue a volte una diagnosi trascurata. L’insieme di questi fattori, in varia misura, non è solo causa di sofferenza, ma spesso di disabilità e di quadri dolorosi assai difficoltosi da trattare.1-3
 
La patologia degenerativa dell’apparato osteoarticolare interessa quindi un numero molto elevato di over 85enni e, ove gli effetti dell’artrosi-artrite siano sommati alle complicanze dell’osteoporosi, risulta essere la malattia cronica più diffusa al mondo e la causa di disabilità più frequente nel grande anziano. Le patologie osteoarticolari sono, in realtà, rappresentate da una miscellanea di condizioni reumatiche con netta prevalenza di quelle articolari degenerative a carico della colonna, delle anche e delle ginocchia. Si tratta, quindi, di patologie largamente diffuse e che incidono negativamentesulla qualità della vita in quanto responsabili di disabilità e dolore cronico e persistente nel vecchio.
La presenza del dolore va, dunque, pervicacemente ricercata perché spesso misconosciuta. Il dolore è, infatti, spesso ritenuto dal vecchio fatalmente connaturato all’età, dovuto a malattie croniche inguaribili, lenibile solo con farmaci a elevato rischio di effetti collaterali da implementare, di  solito, a numerosi altri. Deve essere anche segnalata, con la senescenza, la frequente difficoltà a ottenere una buona raccolta anamnestica a causa di deficit cognitivi e della comunicazione.  In questi casi, l’attenta  osservazione del  paziente e i cambiamenti comportamentali testimoniati dai caregivers possono aiutare a identificare presenza, causa e intensità del dolore (Tabella 2). Il  dolore  nocicettivo a carico dell’apparato locomotore è, dunque, un problema assai comune tra gli anziani e l’esperienza del dolore cronico  ha nell’anziano un’alta prevalenza che varia dal 25 all’80 per cento a seconda  dell’età, del setting assistenziale e della popolazione studiata. Studi di prevalenza in anziani istituzionalizzati evidenziano  tassi  variabili  tra  il  45  e  l’80 per cento, con assessment e tratta-mento del dolore del tutto inadeguati. Anziani residenti a domicilio riferivano, in altri studi, di assumere farmaci per il dolore per più giorni durante la settimana da almeno sei mesi.  Altre casistiche sembrano dimostrare che, in un anziano su quattro, il dolore raggiunge livelli tali da impedire il normale svolgimento delle attività quotidiane. Nonostante la frequente prevalenza del dolore cronico non neoplastico nel vecchio, specie di tipo nocicettivo a carico dell’apparato locomotore, e nonostante tale sintomatologia interferisca vistosamente sulla sua qualità della vita, nondimeno il dolore non appare adeguatamente ricercato, identifi cato e trattato (Figura 1). Così come sottovalutate appaiono le conseguenze della malattia osteoporotica. Lo studio epidemiologico Esopo, condotto nell’anno 2000 su 16.000 pazienti in 83 centri di tutta Italia, ha dimostrato, infatti, che la prevalenza dell’osteoporosi nella popolazione femminile è del 23 per cento (in pratica 1 donna su 4 è osteoporotica), ma anche il 15 per cento degli uomini oltre i 60 anni di età risulta affetto da osteoporosi. A 40 anni è osteoporotica 1 donna su 10, a 60 anni 1 su 3, dopo i 70 anni 1 su 2. Si tratta di circa 4 milioni di donne e 800.000 uomini che si trovano in tal modo esposti a un più alto rischio di fratture. Il numero di interventi chirurgici eseguiti sul femore ogni anno in Italia si commenta da solo: 33.000 interventi di osteosintesi, 19.000 sostituzioni parziali dell’anca e 27.000 sostituzioni totali; una grandissima parte di questi interventi è dovuta alle fratture femorali di origine osteoporotica.4
 
Non vi è dubbio che il primo passaggio per un corretto approccio algologico sia rappresentato da una precisa raccolta anamnestica. La presenza del dolore va opportunamente indagata, perché frequentemente non riferita anche a causa di veri pregiudizi. Deve essere anche segnalata la frequente difficoltà a ottenere una buona raccolta anamnestica a causa di deficit cognitivi o del linguaggio, così comuni nel grande vecchio, o di una vera sfiducia, anche di carattere depressivo, a ottenere una soluzione al problema dolore. In tali condizioni, in assenza della testimonianza del caregiver, l’osservazione del paziente e del suo linguaggio comportamentale (irrequietezza, mimica, confusione mentale) può aiutare a identificare presenza e natura del dolore.

Valutazione clinica del dolore nel paziente anziano
Lo scopo dell’anamnesi e della valutazione algologica, che nell’anziano è particolarmente importante ma anche di difficile valutazione per i motivi sopra riportati, è di stabilire:
- Tipo di dolore
- Sede del dolore
- Caratteristiche temporali del dolore: dolore acuto, cronico, continuo o intermittente
- Cause scatenanti: presente a riposo o riacerbato dal movimento (incidentale)
- Intensità del dolore: scale analogiche visive numeriche o a colori
- Componente emotiva: scale per la depressione.
Ogni forma di trattamento va preceduta da una Valutazione Geriatrica Multidimensionale (VGM) mirante a stabilire il grado delle abilità residue, la presenza di comorbilità, il benessere psichico e la condizione socio-economica. La VGM consente di definire il progetto assistenziale e di stabilire quale ruolo possa avere il medico, gli altri operatori sanitari, il paziente stesso e la famiglia nel conservare e/o migliorare la capacità funzionale (Tabella 3). Le scale di valutazione hanno lo scopo di misurare analiticamente le funzioni e di consentire un giudizio obiettivo dello stato funzionale, misure utili anche nell’osservazione longitudinale del paziente.
Il prototipo di scala per la valutazione dell’autonomia nelle funzioni di base è rappresentato dalla scala per le Activity of Daily Living (ADL). Viene presa in considerazione la capacità del paziente di lavarsi, alimentarsi, vestirsi, servirsi del water, passare dal letto alla sedia e dalla sedia al water senza aiuto. La valutazione del tono dell’umore è un altro elemento cardine della VGM. Le scale analogico visive (VAS) consentono la misura e il monitoraggio del dolore. L’uso di scale risulta di fondamentale importanza per la valutazione dell’intensità del dolore e per obiettivare l’efficacia degli interventi in termini di analgesia e di miglioramento funzionale e dell’umore. Obiettivo finale della valutazione algologica nell’anziano resta ovviamente la elaborazione della migliore strategia terapeutica possibile al fine di:
- Lenire la sintomatologia
- Migliorare la qualità di vita
- Aumentare il livello di autonomia
- Mantenere il risultato terapeutico nel tempo.
La valutazione algologica è finalizzata, dunque, a un approccio al dolore dell’anziano più attento, analitico e assai più interventistico rispetto a quello attuale, considerato anche che le opzioni terapeutiche oggi utilizzabili sono potenzialmente efficaci in quasi il 90 per cento dei casi.

Strategia terapeutica
Nel paziente anziano la strategia terapeutica è determinata dalla valutazione algologica e varia nel corso del follow-up sulla base della evolutività delle lesioni, in specie nel paziente oncologico, poiché la nocicezione è correlata a fonti sempre più numerose, man mano che aumentano le localizzazioni secondarie. E’ possibile, pertanto, che dolori inizialmente tessutali e nocicettivi tendano col tempo a diventare anche neuropatici e ad arricchirsi di componenti emotive sempre più rilevanti. Un’accurata indagine valutativa assume particolare importanza nelle sindromi dolorose, per un corretto inquadramento diagnostico e per la valutazione dell’efficacia dei trattamenti analgesici. Le scale di valutazione del dolore possono essere suddivise in quattro gruppi, ovvero: nominali, ordinali, a intervalli, di rapporto. Tra le più semplici e di più immediato impatto si è imposta la scala analogica “VAS” (Visual Analogic  Scale).  Essa è costituita da una linea orizzontale di dieci centimetri, le cui estremità sono rappresentate da “assenza di dolore” e “peggior dolore immaginabile”, tra le quali il paziente è invitato a indicare l’intensità del dolore: è possibile ottenere una misura della intensità del dolore espressa da un dato numerico, cioè dalla lunghezza in millimetri del segmento compreso fra l’estremità della scala corrispondente all’assenza di dolore e il punto indicato dal paziente.5 La scelta del trattamento non può prescindere dalla qualità e dall’intensità del dolore e dallo stato psichico del paziente, per cui la moderna strategia terapeutica del dolore si basa sul trattamento multimodale, combinando le diverse possibilità di intervento ai diversi livelli del sistema nocicettivo:
- Analgesici ad azione periferica: prevengono la sensibilizzazione dei recettori del dolore mediante l’inibizione della sintesi delle prostaglandine;
- Analgesici ad azione centrale: determinano la scomparsa/riduzione del dolore, interferendo con i recettori per gli oppioidi del SNC;
- Farmaci adiuvanti: non dotati di azione analgesica in senso stretto (in particolare: psicotropi, anticonvulsi-vanti e cortisonici).
Anche se, come abbiamo ricordato all’inizio, nel paziente anziano un ruolo importante è rivestito dal trattamento del dolore delle patologie osteodegenerative e del dolore post-operatorio in quanto nei soggetti anziani può essere frequente il ricorso a interventi chirurgici, dobbiamo ricordare il dolore indotto dalla patologia tumorale che richiede una trattazione particolare che si avvale nella scelta terapeutica dell’approccio sequenziale definito dall’OMS, ovvero:
- FANS;
- oppioidi deboli ± FANS;
- oppioidi forti ± FANS (Figura 2);
associati a tutti i livelli ad altri farmaci definiti come adiuvanti o coanalgesici, che possono contribuire in modo rilevante ad alleviare il dolore e a migliorare la qualità di vita del paziente. Ci riferiamo, ad esempio, ai composti benzodiazepino-simili capaci di ridurre lo stato d’ansia o l’insonnia e, quindi, di eliminare importanti fattori di accentuazione del dolore.6
 
Il concetto fondamentale nella terapia farmacologica del dolore non è dissimile da qualsivoglia altro approccio farmacologico in età geriatrica. L’età avanzata comporta, come è a tutti noto, delle importanti modifiche della farmacocinetica e farmacodinamica restringendo l’indice terapeutico di ogni farmaco e aumentando, quindi, il rischio di tossicità, specie in regime di multiterapia. La prescrizione di un farmaco alla volta, l’uso di dosi relativamente basse, la consapevolezza di possibili effetti additivi con una multiterapia, la perseveranza nei tentativi farmacologici per un adeguato periodo di tempo con dosi basse e lentamente incrementate sono principi base per un adeguato trattamento. L’approccio farmacologico è quindi affidato alla sequenza di farmaci secondo la scala di intensità a tre gradini proposta dall’OMS, correlato all’intensità del dolore valutato con la scala analogica visiva.
E’ opinione condivisa tra gli specialisti del dolore considerare un errore il perseverare nel primo gradino dell’approccio sequenziale della terapia del dolore. Non mancano anche perplessità sul secondo gradino, da taluni giudicato superfluo, dal momento che l’effetto analgesico massimale dei FANS non è inferiore a quello della codeina e di altri oppioidi minori. Del resto, comunque non è emersa alcuna tendenza da parte degli esperti dell’OMS a saltare il secondo gradino, mentre è oggetto di discussione l’effettiva utilità di iniziare a trattare con FANS i casi di dolore cronico di intensità moderata-severa.
Di seguito ci soffermeremo su alcuni FANS e sugli analgesici oppioidi di uso più comune, evidenziando gli aspetti di farmacologia clinica dell’uso di questi farmaci nell’anziano.

Farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS)
I FANS costituiscono un gruppo eterogeneo di farmaci caratterizzati da un’attività di inibizione della cicloosigenasi con conseguente riduzione dei livelli tissutali di prostaglandine.7 Le azioni per le quali i FANS vengono utilizzati sono attività antidolorifica a prevalente localizzazione periferica a livello dei nocicettori. A questa attività è anche associata un’attività antipiretica e antiflogistica. Sono usualmente impiegati nel dolore cronico benigno di lieve e media entità e sono caratterizzati da un “effetto tetto”, oltre il quale ulteriori incrementi della dose non inducono una maggiore analgesia.
Tra i più utilizzati  nel  trattamento del dolore troviamo, oltre ai FANS,  il paracetamolo, che oltre agli effetti sopra riportati ha anche un supposto meccanismo d’azione di tipo centrale perché sembra possa inibire selettivamente la sintesi cerebrale di prostaglandine. Il dosaggio abituale varia da 500 a 1000 mg ogni 4-6 ore (max 4 g/die) e, al contrario dei FANS, non è lesivo per la mucosa gastrica.
Il primo gradino terapeutico prevede, come indicato dall’OMS, l’utilizzo di FANS. Gli studi sull’utilizzo di queste molecole nel paziente oncologico anziano sono a tutt’oggi relativamente scarsi e le linee-guida in materia di posologia sono prevalentemente improntate a criteri puramente soggettivi.
Tutti i FANS presentano un assorbimento rapido ed esteso. Il legame con le proteine plasmatiche (albumina) è superiore al 90%; l’eliminazione avviene principalmente attraverso la biotrasformazione epatica e l’escrezione dei metaboliti con le urine. L’emivita plasmatica varia da 2 a 86 ore: i dati di farmacocinetica mostrano significative differenze nell’anziano rispetto al giovane. In Tabella 4 sono riportate le caratteristiche dei principali FANS in commercio.
I FANS a lunga emivita offrono il vantaggio di poter essere assunti in unica dose giornaliera o solo due volte al dì, garantendo pertanto una migliore compliance, maggiore convenienza e minore dispendio da parte del personale infermieristico nel caso di pazienti ospedalizzati.
Nella comune pratica clinica sono senz’altro da preferire, nell’anziano, FANS a breve emivita con iniziali posologie ridotte, tali da provocare minore effetto gastrolesivo e/o capacità di indurre piastrinopenia. D’altra parte, l’uso degli anti-H2, in particolare a scopo gastroprotettivo, è gravato da una maggiore incidenza di effetti collaterali (disorientamento, bradicardia) proprio nel paziente anziano; è pertanto raccomandabile un uso congruo di antiacidi e, ove indicato, degli analoghi di recente sintesi o di inibitori della pompa protonica.
A causa delle differenti conseguenze che l’uso di questi farmaci può avere negli anziani, è opportuno prendere in considerazione la possibilità di correzione del dosaggio sulla base dei dati di funzionalità renale. Con il naproxene e il ketoprofene è necessario ridurre la dose raccomandata del 25 per cento negli anziani e del 50 per cento nei soggetti affetti da malattie renali. Nel caso della tolmetina e del piroxicam è invece opportuna una diminuzione del dosaggio in presenza di una clearance della creatinina inferiore a 50 ml/min. Non trascurabili, inoltre, per i FANS gli altri possibili effetti collaterali quali nefrotossicità, alterazioni dell’emostasi e disturbi della sfera cognitiva, così come i potenziali fenomeni di ipersensibililità che nell’insieme contribuiscono a precipitare quadri di labile compenso funzionale.

Analgesici narcotici
Secondo l’OMS gli oppioidi analgesici indicati per il trattamento del dolore, in specie da cancro, di intensità lieve-moderata sono: codeina, tramadolo, buprenorfina e destropropossifene (oppioidi deboli); mentre quelli indicati per il dolore moderato-severo sono: morfina, idromorfone, ossicodone, metadone, fentanyl ed eroina (oppioidi forti).
I derivati dell’oppio sono farmaci di sperimentata efficacia nel trattamento del dolore.8,9 L’azione analgesica degli oppioidi si esplica a livello di recettori specifici localizzati in alcune zone del midollo spinale lungo le vie sensitive del dolore. E’ tuttavia recente la polemica sulla scarsa responsività del dolore neuropatico all’impiego di farmaci oppioidi. Alcuni autori sostengono che la causa di questo scarso successo consista nel dosaggio improprio, ossia nel mancato impiego fino al massimo della dose raggiungibile, per timore degli eventuali effetti collaterali.
Altri autori sostengono che gli oppioidi sono in grado di modificare la componente affettiva ma non quella sensoriale del dolore. Altri, infine, sostengono che vi sono vantaggi ottenibili mediante blocchi regionali ripetuti i cui effetti benefici durano più alungo del tempo prevedibile e in base alle caratteristiche di ridistribuzione degli oppioidi stessi.
La morfina è lo standard di riferimento per tutti gli analgesici oppioidi. Nell’impiego per os con le attuali preparazioni commerciali a cessione controllata si ottengono dosaggi plasmatici costanti, mentre la via di somministrazione intramuscolare è da usare eccezionalmente nella terapia a lungo termine. L’impiego di pompe di infusione esteso alla somministrazione peridurale e intraspinale ha ulteriormente allargato il campo di applicazione di questo farmaco nel trattamento del dolore.
Ci soffermeremo a scopo esemplificativo sulla cinetica della morfina per via orale. Come noto, la morfina, che rappresenta l’oppioide di prima scelta nel trattamento del dolore moderato-severo da cancro, ha una durata di azione relativamente breve e una biodisponibilità orale scarsa, intorno al 25%, a causa di un alto effetto di primo passaggio a livello epatico. Baillie e collaboratori10 hanno descritto la farmacocinetica della morfina somministrata per via orale nell’anziano: la Figura 3 mostra una curva concentrazione-tempo sempre più elevata nell’anziano, proprio in relazione ai fattori legati all’invecchiamento, di cui abbiamo discusso, tali che la dose di morfina somministrata nell’anziano dovrebbe essere ridotta rispetto al giovane. Questo studio infatti dimostra che dosi equivalenti di morfina producono più elevate concentrazioni plasmatiche nel paziente anziano rispetto all’adulto. I pazienti anziani manifestano una sensibilità accentuata agli oppioidi rispetto ai soggetti giovani-adulti: le concentrazioni plasmatiche risultano aumentate, la clearance si riduce e, conseguentemente, l’emivita è prolungata; per tali motivi la minima dose di oppiacei efficace (ovvero dotata di soddisfacente effetto antidolorifico) e tollerata (ovvero gravata da minori effetti collaterali) è ridotta rispetto ai soggetti più giovani. Analogamente, nell’anziano l’insufficienza renale legata all’età concorre ad aumentare l’emivita dell’oppiaceo comportando l’accumulo, più che della morfina libera, del suo metabolita 6-glucuroni-de. Viceversa, la riduzione della funzionalità epatica legata alla senescenza non comporta significative modificazioni della farmacocinetica della morfina (l’emivita nei cirrotici non differisce da quella nei soggetti con normale funzionalità  epatica): nemmeno nelle situazioni di pre-coma epatico nell’anziano sussistono tassative indicazioni a ridurre la dose degli oppiacei, probabilmente per una la preservata attività enzimatica di glucuronicazione nell’insufficienza epatica.11,12
 
Anche lo sviluppo di forme farmaceutiche relativamente nuove, come la somministrazione per via transdermica, rappresenta un’opzione o è da considerarsi una valida alternativa alla morfina, specialmente in considerazione della maggiore tollerabilità. In Tabella  5 sono riportate le linee guida OMS sull’uso delle formulazioni transdermiche comparate con i risultati ottenuti con l’uso delle stesse. Una formulazione transdermica di  fentanyl, oppioide semisintetico molto potente agonista puro con un’elevata affinità per i recettori μ e con un’azione analgesica 75-125 volte maggiore della morfina,13,14 sfrutta la liposolubilità del farmaco nella forma farmaceutica a rilascio transdermico ritardato (TTS). Va quindi sottolineato il notevole contributo che il sistema transdermico veicolante il fentanyl può dare alla qualità della vita di un paziente oncologico o comunque affetto da dolore cronico. Il fentanyl TTS (formulazioni da 12, 5, 25, 50, 75 e 100 μg/h) è concepito per il rilascio continuo del farmaco per più di 72 ore con una quantità rilasciata direttamente proporzionale alla superficie del cerotto. L’applicazione consecutiva di più cerotti non determina l’accumulo del farmaco ma, piuttosto, livelli plasmatici pressoché costanti. L’età non sembra influenzare l’assorbimento del farmaco, a differenza dell’emivita di eliminazione, significativamente più lunga nell’anziano. In Tabella 6 sono riportate le dosi iniziali di due formulazioni transdermiche (fentanyl e buprenorfina) in pazienti anziani e adulti. I vantaggi offerti da queste formulazioni sono rappresentati dall’indubbia praticità di somministrazione (sonno notturno ininterrotto per il paziente, minore impiego di personale infermieristico), dai minori effetti collaterali, in particolare stipsi e dalla continuità dell’azione del farmaco a lento rilascio, con sollievo dal dolore fino a 72 ore.15-20
 
Tra i cosiddetti oppioidi "deboli”, la codeina, in specie se usata in associazione al paracetamolo, rappresenta una valida opportunità terapeutica nel trattamento del dolore.21 L’associazione codeina-paracetamolo è molto efficace nei casi di dolore resistente agli antidolorifici di primo livello, prima di ricorrere agli oppiodi forti. Questa associazione viene usualmente assunta fino a una dose massima di paracetamolo pari a 4000 mg e di codeina pari a 200 mg nell’arco della giornata, con somministrazioni ogni 6-8 ore.
In questa classe di farmaci, che annovera anche il destropropossifene, si è dimostrato particolarmente efficace l’uso del tramadolo i cui effetti analgesici sono dovuti all’interazione selettiva con i recettori μ, anche per la buona compliance determinata dalla formulazione orale.22 Tra gli analgesici oppioidi indicati per il dolore lieve-moderato da cancro il tramadolo, per le forme farmaceutiche a disposizione, rappresenta un farmaco molto maneggevole, in relazione poi all’assenza di depressione respiratoria e dipendenza fisica. Il tramadolo è stato oggetto di uno studio cinetico nel giovane e nell’anziano; anche in situazioni di insufficienza renale ed epatica non si evidenziano per il tramadolo modificazioni farmacocinetiche di rilievo ai fini dell’impiego clinico del farmaco.23
 

Farmaci adiuvanti
La componente psico-affettiva riveste un ruolo fondamentale nell’esperienza soggettiva del dolore; pertanto il trattamento farmacologico non può prescindere dall’aspetto funzionale, in particolare ansioso-depressivo. E’ noto infatti che nei pazienti affetti da dolore cronico (inteso come perdurante da almeno sei mesi) si sviluppa alternativamente o un aggravamento della sindrome depressiva, peraltro diffusa in concomitanza con il dolore, o uno stato adattativo (in termini di compliance/collaborazione e motivazione) al dolore stesso.24-27
 
L’impiego di antidepressivi triciclici è indicato, oltre che per le note proprietà antidepressive, peraltro a pieni dosaggi, anche per le proprietà analgesiche indirette, grazie alla modulazione inibitoria discendente sulle corna dorsali del midollo spinale, mediante inibizione del reuptake della serotonina e della noradrenalina; in tal senso dosi di amitriptilina pari a 25/50 mg/die risultano mediamente efficaci ai fini di un’azione sedativo-analgesica nei casi di dolore neuropatico.
Tra gli anticonvulsivanti la carbamazepina (dosi iniziali di 100 mg b.i.d. incrementabili fino a 500 mg/die) e l’acido valproico (500 mg/die in monosomministrazione fino a un massimo di 1 g) rappresentano i farmaci più indicati nei casi refrattari di dolore urente superficiale spontaneo (Tabella 7).28,29
 

Somministrazione di oppiacei nel paziente anziano
L’uso di oppioiacei nella terapia del dolore cronico non neoplastico è controverso, ma il consenso generale è che ci sia una porzione di pazienti che chiaramente migliora sintomaticamente e funzionalmente con trattamento cronico con oppiacei oltre che nel controllo del dolore, nel miglioramento del livello funzionale, dello stato dell’umore e della qualità del sonno. Gli oppiacei, comunque, possono essere utili anche in pazienti con dolore cronico muscolo-scheletrico, come prevedono numerose linee guida (Eular, Federdolore, Iasp, Simmg). Questi pazienti, se adeguatamente trattati, non sviluppano con gli oppiacei dipendenza, tachifilassi e abitudine. Gli effetti collaterali (principalmente: stipsi, nausea, sonnolenza) nel giro di qualche giorno regrediscono. Vi sono studi che dimostrano che il loro impiego anche per lunghi periodi di tempo in questi pazienti, non provoca quei problemi sopra descritti.30 Nonostante ciò, la prescrizione di oppioidi nei Paesi occidentali sta aumentando e si stanno via via accumulando evidenze sul loro profilo di efficaciae di sicurezza. In Italia l’utilizzo degli oppioidi è molto scarso, manca l’esperienza su come gestire questi farmaci e si ha paura di quelli che possono essere gli effetti collaterali.
Oggi esistono dati, derivanti anche dalle ricerche di neurobiologia, che avvallano l’uso degli oppioidi nel dolore articolare, che è il dolore cronico non oncologico più frequente.31-35
 
Esistono inoltre evidenze cliniche che piccoli gruppi di pazienti ben selezionati possano beneficiare dell’utilizzo degli oppioidi nel dolore cronico muscolo-scheletrico. È essenziale che questo gruppo sia ben individuato per  massimizzare i risultati senza aumentare significativamente l’uso illecito di tali sostanze, la dipendenza o altri effetti indotti da tali terapie. La valutazione dell’efficacia dell’analgesia, dello svolgimento delle attività quotidiane, degli effetti collaterali e dei comportamenti aberranti possono aiutare la classe medica a superare la riluttanza a utilizzare gli oppioidi nel dolore cronico non oncologico, dove si sono dimostrati efficaci e in grado di migliorare la qualità di vita dei pazienti.36
 
Va tenuto presente che l’abuso è raro (<1%) nei pazienti senza precedenti di abuso e che ricevono trattamenti a breve termine, ma il rischio sale al 50 per cento nei soggetti che sono tossicodipendenti al momento della prescrizione dell’analgesico centrale, che hanno scarso supporto sociale, che non seguono un programma di recupero o che ricevono terapia a lungo termine. Ciò richiede da parte del clinico una buona conoscenza non solo delle modalità di sviluppo del processo patologico e del trattamento farmacologico, ma anche della compliance stessa alla terapia, intesa come corretta osservanza dei tempi, del dosaggio e delle vie di somministrazione ottimali. La somministrazione di farmaci per via orale è legata ai tempi di dimezzamento della singola molecola e può avvenire con una frequenza massima pari a 2-4 ore. Il dosaggio solitamente utilizzato è l’equivalente analgesico corrispondente al 5-15% della dose iniziale, somministrata nell’arco delle 24 ore, dell’oppioide a lunga durata di azione. La Tabella 8 indica le dosi equianalgesiche dei farmaci oppioidi. Per ottenere delle concentrazioni plasmatiche costanti (steady-state) di farmaco sono necessarie da quattro  a cinque emivite a partire dall’inizio della somministrazione o dalla variazione della dose.
Ciò significa che con un farmaco a lunga emivita vi sarà un periodo prolungato durante cui le concentrazioni plasmatiche del farmaco, e conseguentemente i suoi effetti possono mutare. Un lungo periodo di stretto monitoraggio si rende pertanto indispensabile per tutti i pazienti, ed è di particolare importanza per coloro che, come gli anziani, sono maggiormente predisposti a sviluppare effetti collaterali. La possibilità di comparsa di effetti ritardati e la necessità di un monitoraggio intensivo prolungato sono ridotte se vengono utilizzati farmacia breve emivita.
A prescindere dal tipo di analgesico utilizzato, è prudente cominciare la terapia con una dose relativamente bassa. Tale dose è in genere compresa tra la metà e i due terzi della dose somministrata al paziente più giovane. Per esempio, è ragionevole somministrare inizialmente un farmaco oppioide a una dose equivalente a 5 mg di morfina per via sottocutanea o intramuscolare o a 10-20 mg per via orale ripetibile due o tre volte nella giornata, e poi salire gradatamente con le dosi.
Gli effetti collaterali correlati alla somministrazione contemporanea di più farmaci con interazioni reciproche sono frequenti nei pazienti anziani.Le risposte assai imprevedibili del paziente anziano inducono a suggerire che i farmaci analgesici siano prescritti solo uno alla volta. In questo modo sarà possibile evitare l’insorgenza di fenomeni tossici cumulativi, e si potrà facilmente identificare il farmaco responsabile in caso si verifichino effetti collaterali (Tabella 9 e Tabella 10).

Conclusioni
L’approccio clinico per il trattamento del dolore muscolo-scheletrico nel paziente anziano fa riferimento a delle regole pratiche che costituiscono un vero e proprio decalogo,37 come suggerito dalle linee dell’American Geriatric Society di seguito riportate:
1 - Valutazione multidimensionale (impatto su stato funzionale, psichico, QL)
2 - Scala verbale: prima scelta (altre scale possono essere più appropriate in alcuni pazienti)
3 - Valutazione comportamentale: essenziale in pazienti con alterazioni cognitive
4 - Uso di placebo: non etico
5 - Paracetamolo e FANS: prima scelta per dolore lieve-moderato
6 - FANS tradizionali: da evitare per terapia a lungo termine. Inibitori selettivi COX-2: da preferire
7 - Oppioidi: efficaci, minori rischi a lungo termine. Attento monitoraggio effetti collaterali
8 - Programma individualizzato di attività fisica: da instaurare e mantenere
9 - Educazione paziente e familiari: essenziale componente del trattamento
10 - Sistema sanitario: supporto di leggi e procedure, facilitazioni nella prescrizione, trattamenti accessibili e rimborsi adeguati, educazione al trattamento del dolore.
Nella pratica clinica  geriatrica  in tutti i pazienti con dolore muscolo-scheletrico va stabilita una  diagnosi, un piano di cura e possibilmente una prognosi. Nei pazienti conforme di demenza severe o che non possono parlare, il dolore va misurato per osservazione diretta o attraverso le persone di supporto. I pazienti vanno rivalutati con regolarità per eventuali  miglioramenti, peggioramenti o complicazioni. Un cenno va fatto, infine, alle strategie non farmacologiche, quali l’igiene di vita, ovvero il mantenimento di una buona attività fisica, peso corporeo vicino all’ideale, che sono utili soprattutto a riguardo della patologia degenerativa artrosica e osteoporotica. La prevenzione del sovrappeso significa ovviamente risparmio di sollecitazione per le grandi articolazioni da carico e rallentamento evolutivo della patologia. Itrattamenti fisici, le terapie cognitivo-comportamentali e di supporto psico-sociale, per quanto prevedibilmente di limitato accesso alla maggior parte degli anziani, possono essere di beneficio oltre che per la loro (modesta) efficacia, soprattutto per l’attenzione terapeutica di cui il vecchio sofferente diviene oggetto da parte del caregiver e del terapeuta. La finalità di questo approccio multidisciplinare resta, infatti, aiutare i pazienti a utilizzare al massimo le potenzialità residue, motivandolo con segnali di genuino interesse, aiutandolo a condurre una vita più vicina possibile alla normalità.

Published
21th September 2010

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