La sindrome miofasciale - Pathos

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La sindrome miofasciale

Myofascial syndrome
Giancarlo Carli, Valentina Di Sabatino
Polo Scientifico di San Miniato, Dipartimento di Fisiologia
Università degli Studi di Siena
Rassegna clinica
Pathos 2008, 15; 3: 13-20
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Riassunto  Tra le sindromi dolorose muscolo-scheletriche, quella miofasciale è sicuramente una delle più frequenti. Essa comprende, infatti, un vasto ed eterogeneo gruppo di patologie muscolari che si presentano con dolore muscolare continuo, associato a contrattura, limitazione funzionale e, occasionalmente, a sintomatologia di tipo nevralgico quali parestesie, formicolio e disfunzione vegetativa. Ciò che caratterizza questa condizione sono i trigger point (TP), cioè un’area di ipersensibilità circoscritta di muscolo o fascia-banderella palpabile indurita e dolente alla palpazione. La digitopressione del TP evoca a distanza dolore riferito nella cosiddetta “target area” (area bersaglio o zona di riferimento) e una contrazione muscolare localizzata (twitch). La terapia può avvalersi di varie scelte: blocco anestetico dei trigger points, stretch and spray, pressione localizzata a livello del TP e terapia fisica attiva.
Summary  Myofascial pain syndrome is common cause one of musculoskeletal pain and it is characterized by trigger points (TP), limited range of motion in joints and local twitch response (LTR) during mechanical stimulation of the TP. Trigger point is a hyperirritable spot in skeletal muscle that is associated with a hypersensitive palpable nodule in a taut band. The spot is tender when pressed and can give rise to characteristic referred pain, motor dysfunction and autonomic phenomena. Palpation is reliable diagnostic criterion for locating TP in patients. Treatment is based on anesthetise TP, stretch and spray, local pression and physical activity.
Parole chiave Dolore cronico muscolo-scheletrico, trigger point, banda rigida, contrazione muscolare localizzata
Key words Chronic pain, trigger point, taut band, local twitch response

Storia clinica
Tra le sindromi dolorose muscolo-scheletriche quella miofasciale è sicuramente una delle più frequenti; è stata chiamata anche miosite, fibrosite, mialgia, miogelosi, miofascite, miofibrosite interstiziale, reumatismo muscolare, stiramento muscolare.1 La sindrome dolorosa miofasciale comprende un vasto ed eterogeneo gruppo di patologie muscolari che si presentano con dolore muscolare continuo, associato a contrattura, limitazione funzionale e, occasionalmente, a sintomatologia di tipo nevralgico quali parestesie, formicolio e disfunzione vegetativa.2,3 Ciò che caratterizza questa condizione sono i trigger point (TP), cioè un’area di ipersensibilità circoscritta di muscolo o fascia-banderella palpabile indurita e dolente alla palpazione. La digitopressione del TP evoca a distanza dolore riferito nella cosiddetta “target area” (area bersaglio o zona di riferimento), che rappresenta anch’essa un elemento caratteristico e una contrazione muscolare localizzata (twitch).3 La sensazione dolorosa sembra essere dovutaalla presenza di potenziali anomali a livello della placca motrice (EPN) conseguenti a un eccessivo rilascio di acetilcolina (ACh).4 Questo eccessivo rilascio di ACh potrebbe essere già presente come risultato del processo fisiopatologico che contribuisce alle caratteristiche cliniche di un trigger point oppure potrebbe essere il risultato dell’interferenza meccanica che viene suscitata in prossimità dell’ago usato durante la registrazione dell’EMG. In alcuni studi5,6 è stato dimostrato che uno stimolo sia meccanico, chimico che immunologico nelle vicinanze di una placca motrice può indurre la comparsa di un EPN. In particolare sembra che l’effetto dell’ago da solo sia in grado di indurre o comunque aumentare un EPN. Nella regione del TP ci sono molteplici loci tra i quali Hong7,8 ne identifica due: il sensitive locus e l’active locus. Il sensitive locus è quella zona dalla quale, tramite l’inserzione di un ago, possono essere evocati dolore locale, dolore riferito e una contrazione muscolare localizzata. La seconda zona, l’active locus, ha significato motorio perché è localizzata dove è possibile registrare un EPN nelle immediate vicinanze della placca. In ambedue i loci sono presenti terminazioni sensitive di natura nocicettiva e numerose sostanze algogene responsabili della sensitizzazione. Questi nocicettori inviano informazioni al sistema nervoso centrale, soprattutto ai motoneuroni più piccoli che innervano le fibre rosse muscolari. Sembra quindi che le fibre muscolari grosse, fasiche, siano meno vulnerabili delle fibre rosse ai danni di natura meccanica. Probabilmente queste strutture sono molto vicine e insieme formano il locus TP che è l’unità base del TP.8 La presenza di potenziali di placca anomali è un fenomeno tipico della fibra muscolare.
I TP possono essere attivi o latenti.
Attivi: sono responsabili della sintomatologia clinica; sono associati al dolore, a riposo o a un dolore da eccessivo stiramento del muscolo.
Latenti: causano limitazioni nei movimenti e debolezza, il dolore non è presente ma viene evocato solo in seguito a una moderata pressione in un punto del muscolo.
In teoria tutti i muscoli possono essere sede di TP, ma le sedi più frequenti e caratteristiche sono il collo, la spalla, la schiena e le estremità.9 Nella Tabella 1 (prima parte) e (seconda parte) si riportano i muscoli che con maggiore frequenza possono estrinsecare dei TP, con la relativa innervazione e le più probabili patologie associate.

Taut band
Un’altra caratteristica molto importante da tenere in considerazione è il rilevamento di una banda rigida (taut band). E’ possibile individuare una banda simile a una corda tesa qualora il muscolo sia sufficientemente vicino al TP. Quando il muscolo è stirato dolcemente fino al primo accenno di resistenza le fibre tese possono essere distinte da quelle normali.10
 

Dolore riferito
Le caratteristiche del dolore riferito sono la chiave per identificare i muscoli responsabili del dolore miofasciale. Queste sono costanti e prevedibili; tuttavia la distribuzione del dolore somatico riferito non corrisponde all’organizzazione dermatomerica o miomerica delle radici nervose. Una zona di riferimento è presente in tutti i pazienti e può essere associata ad un’area molto più grande. Questa zona prende il nome di “zona di riferimento rovesciata” (spillover). È proprio la prevedibilità delle caratteristiche del dolore che viene usata dai clinici per localizzare l’origine del dolore. Una profonda iperalgesia o rigidità sono associate spesso al dolore nell’area di riferimento.11

Local Twitch Response (LTR)
Una digitopressione sui TP produce una contrazione muscolare localizzata (LTR) dovuta alla momentanea contrazione della taut band nella porzione terminale. Questo è un segno obiettivo fisico che si presenta solo dopo questo tipo di stimolazione meccanica. Per di più è la tecnica più efficace per ricercare sistematicamente i TP. Più grande è la contrazione, più sensibile o attivo è il TP.12,13

Limitazione funzionale
Al momento della visita i muscoli con TP rivelano:
- una ridotta capacità di movimento; dolore all’allungamento passivo del muscolo;
- debolezza;
- diminuzione della tensione massima;
- dolore in conseguenza di una contrazione volontaria di intensità notevole;
- ritardato sviluppo dei riflessi tendinei.14

Eziologia e fisiopatologia
Le cause più facilmente riconoscibili per lo sviluppo di un TP sia esso attivo o passivo sono:
- trauma alle strutture miofasciali;
- sovraccarico muscolare;
- microtraumi dovuti alle attività giornaliere o ai movimenti ripetitivi eseguiti in ambito lavorativo;
- eccessivo uso dei muscoli meno sfruttati.15
Il punto iniziale in cui avviene lo stress o il trauma può estendersi a vari muscoli che possono contenere gruppi di TP ipersensibili. La fase iniziale che porta alla formazione di un TP può essere spiegata dal circolo vizioso di cui entrano a far parte la contrazione muscolare, il rilascio di sostanze algogene, la sensitizzazione dei nocicettori muscolari e l’attivazione della risposta vasoattiva simpatica. Questa ipotesi, anche se non provata sperimentalmente, viene supportata dall’efficacia dei maggiori trattamenti che interrompono questo circolo doloroso ed eliminano i TP. Per quanto riguarda l’origine della contrazione muscolare localizzata (LTR) tre sono le ipotesi che sono state prese in considerazione:16
- potrebbe derivare dalla propagazione diretta dei potenziali d’azione lungo le fibre muscolari dal punto trigger all’ago di registrazione;
- potrebbe essere di tipo neuronale: i potenziali d’azione che si propagano dalle fibre afferenti al midollo spinale attiverebbero gli alfa motoneuroni responsabili della contrazione;
- potrebbe derivare dai cosiddetti potenziali “d’inserzione” dovuti al movimento delle fibre muscolari in contatto con l’ago. La prima ipotesi non sembra essere soddisfacente in quanto la risposta alla penetrazione dell’ago sembra di minore entità, quando invece un’interazione di tipo meccanico dovrebbe aumentarla.
Secondo Hong16 la più probabile è la seconda anche se ancora non è stato possibile identificare quali siano le fibre afferenti coinvolte. Un aiuto comunque nello studio della LTR viene anche dall’utilizzo sperimentale di conigli. Sono almeno cinque le più importanti similitudini fra la LTR umana e del coniglio:
- in entrambi la LTR è evocata nella porzione terminale della banda della fibra muscolare;
- l’attività EMG registrata durante una LTR è simile in entrambi;
- quando il muscolo è a riposo non è possibile evocare nessun tipo di risposta;
- dopo ripetute stimolazioni le LTR diminuiscono;
- le LTR diminuiscono dopo il blocco del nervo responsabile dell’innervazione del muscolo.

Trattamento della sindrome miofasciale
L’approccio più corretto da seguire prevede una sequenza di eventi:17
- rassicurazione del paziente;
- riduzione del dolore;
- promozione del rilassamento muscolare;
- eliminazione dei fattori di predisposizione e mantenimento;
- riapprendimento delle normali funzioni neuromuscolari;
- correzione delle disfunzioni motorie;
- ripristino di un adeguato livello di efficienza fisica;
avendo come obiettivi finali quello di:
- fornire al paziente i mezzi per controllare autonomamente i propri disturbi mialgici;
- prevenire la dipendenza o l’abuso del personale sanitario.18
La cura del dolore miofasciale attraverso il blocco o la “disattivazione” dei TP è quella sicuramente più utilizzata sia per i buoni risultati che per la facilità d’esecuzione. Anche la terapia fisica (massaggi, esercizi di allungamento), gli analgesici non steroidei, lo stretch and spray (stiramento del muscolo e spray refrigerante) e lo stretch and inject (stiramento e iniezione del TP) possono essere di ausilio (Figura 1).19-20

Blocco anestetico dei trigger points
Per trattare con successo il dolore miofasciale bisogna conoscere e consultare le tavole di distribuzione del dolore e la localizzazione dei TP21 oppure aver ricercato con pazienza e meticolosità le zone grilletto con la palpazione e l’anamnesi accurata. E’ opportuno tener presente che è importante, per ottenere risultati ottimali, eliminare completamente tutti i focolai di ipereccitabilità di produzione del dolore. Tutti i TP reperiti nella fase diagnostica devono essere già segnati con una matita dermografica. Si può disegnare una linea che simuli la banderella muscolare contratta nel cui contesto si trova il TP e con una X il punto stesso. Si disinfetta la cute con una base di ammonio quaternario, si immobilizza il TP da un lato e dall’altro con le dita e si procede all’iniezione. L’ago penetrato nel TP evoca, in genere, iperestesia e dolore, sia localmente, ma anche nell’area di riferimento (target area). Generalmente si utilizza una siringa da 5 ml piena di bupivacaina allo 0,50% o soluzione salina in grado di ripulire la zona dalle sostanze algogene; in alcuni casi sembra che la sola penetrazione dell’ago possa dare sollievo.22 Un’altra sostanza che è stata oggetto di numerosi studi per il trattamento di patologie dolorose è la tossina botulinica di tipo A (usata regolarmente per il trattamento della spasticità e iperattività muscolare) in quanto in grado di provocare una paralisi flaccida bloccando il rilascio di acetilcolina dalla giunzione neuromuscolare.23,24 Sembra, infatti, che la sensazione dolorosa riferita ai TP sia dovuta a un eccessivo rilascio di ACh dalla giunzione neuromuscolare dopo contrazioni muscolari croniche. La tossina si lega alla placca motrice presinaptica ed è internalizzata per endocitosi; il rilascio di Ach viene poi inibito a seguito del clivaggio del peptide SNAP-25 prevenendo la neurotrasmissione tramite vescicole.25 Ciò porta alla chemodenervazione nelle strutture muscolari affette con conseguente riduzione del dolore e tensione muscolare. I primi effetti si possono sentire nei primi giorni o al massimo dopo un paio di settimane e la durata può arrivare a quattro mesi. BTA è stato messo a confronto con la soluzione salina e solo in un caso si è vista la sua maggiore efficacia;26 in altri casi è stata utilizzata per valutare la sua efficacia sul dolore e sulla vasodilatazione neurogenica evocata dall’applicazione di capsaicina.27 La notevole diversità di risultati e di efficacia che si riscontra tra i vari studi secondo alcuni è dovuta a una serie di condizioni:
- muscoli più grandi richiedono una dose maggiore di BTA;
- il volume di tossina da iniettare;
- la distanza dal sito di inoculo alla placca motrice.
In pazienti con asimmetrie posturali l’iniezione in un flessore o estensore della muscolatura assiale (che tendono a bilanciarsi) porta a un indebolimento e aggravamento del dolore. Inoltre è impossibile studiare i muscoli profondi (ileo psoas o il piriforme). Assolutamente da bandire sono i cortisonici di tipo “deposito” o “a cessione prolungata” che, contenendo tra gli eccipienti sostanze irritanti e non facilmente assorbibili, finiscono per aumentare la dolorabilità locale, spesso causando fastidiose reazioni da corpo estraneo. Quando ci si trova di fronte a un processo infiammatorio evidente e per il quale si vuole utilizzare comunque un cortisonico aggiunto all’anestetico locale, è importante impiegare steroidi idrosolubili. La frequenza di questo tipo di trattamento dipende dal miglioramento clinico del paziente. Si può iniziare con un’infiltrazione alla settimana, ma appena il paziente migliora, si può allungare l’intervallo fino a quando il dolore non si ripresenta. In alcuni casi basta una sola infiltrazione anche ogni due mesi. Molti dei pazienti che, nonostante i blocchi anestetici, hanno sviluppato, nel tempo, una sindrome da dolore miofasciale cronico, sono persone che per il loro lavoro (guida per molte ore, posture scorrette abituali, movimenti ripetitivi non ergonomici, eccetera) riattivano periodicamente i TP e non riescono quindi a guarire mai completamente. Oppure si tratta di pazienti con scarsa compliance che non seguono la fisioterapia complementare e le norme igieniche consigliate per evitare il perpetuarsi e la riattivazione dei TP (blanda ginnastica, passeggiate, schienali rigidi).20,28 In Tabella 2 si evidenziano altri approcci per il trattamento dei TP.

Stretch and spray
Scoperta da Kraus e perfezionata da Travell e Simons21 specificamente per il trattamento della sindrome miofasciale, è una tecnica che consente la riduzione del dolore miofasciale (locale o regionale) e il rilassamento muscolare attraverso l’applicazione di uno stimolo cutaneo freddo e l’allungamento passivo dei muscoli coinvolti. Stirare i sarcomeri accorciati dovrebbe separare i filamenti di actina e miosina, rompendo il circolo vizioso. Bloccare questa contrattura favorisce l’accumulo di ATP con il conseguente rilassamento muscolare. La sua indicazione è rivolta esclusivamente a quelle sindromi miofasciali nella cui patogenesi giocano un ruolo fondamentale i punti trigger (TP) o un marcato stato di contrattura o spasmo muscolare. Ha il vantaggio che non richiede una esatta localizzazione dei TP, ma richiede una certa abilità nello svolgere la sequenza in cui si articola la tecnica (Tabella 3).30 Della tecnica si effettuano numerose varianti; alcune di esse utilizzano solo lo stretching, altre solo lo spray, altre ancora lo spray e l’esecuzione dei movimenti attivi, altre infine diversi stimoli ancora.20

Pressione
Questa è la procedura iniziale per tranquillizzare il paziente. Una pressione precisa sul TP causa probabilmente una compressione ischemica e suscita lo stiramento locale dei sarcomeri accorciati, il blocco nervoso e lo svuotamento dei capillari. A ciò segue un’iperemia di rimbalzo. Il blocco nervoso può essere responsabile della scomparsa del dolore e dell’interruzione dell’ischemia locale riflessa mediata dal simpatico. L’iperemia potrebbe eliminare i metaboliti correlati alla contrazione e le sostanze algogene.31

Terapia fisica attiva
Il termine attiva implica lo svolgimento, da parte del paziente, di attività che sono essenziali per il mantenimento dell’omeostasi corporea. Obiettivo principale di questa branca è quello di eliminare i fattori di predisposizione e mantenimento, nella voce stress meccanici, concorrendo a ridurre il dolore, promuovendo il rilassamento muscolare, favorendo il riapprendimento delle normali funzioni neuromuscolari e la correzione delle disfunzioni motorie e aiutando il paziente a ripristinare un adeguato livello di forma fisica.32,33 La correzione di tali fattori è essenziale per il successo del trattamento e la prevenzione delle ricadute. Nel caso dei cosiddetti stress meccanici, vanno comprese le inadeguatezze strutturali, gli stress posturali e gli stati di compressione/costrizione muscolare. Una comune inadeguatezza strutturale è l’asimmetria scheletrica che crea una differenza nella lunghezza degli arti inferiori, asimmetria dovuta a un arto inferiore più corto o a un’emipelvi più piccola. Sia l’una che l’altra condizione possono spesso perpetuare una sindrome miofasciale. Un altro stress strutturale è dato dalle disproporzioni quale quella che si evidenzia dal rapporto tra un secondo metatarso lungo e un primo metatarso corto, oppure quella risultante dalla presenza di arti superiori corti in relazione all’altezza del tronco.20 Oltremodo importante è, anche, l’individuazione e la correzione degli stress posturali quale quelli dovuti a:
- posture scorrette;
- prolungati stati di immobilità, specie con il muscolo in posizione accorciata;
- abuso muscolare, abuso perpetrato mediante meccanismi scorretti di gestione corporea che rendono i movimenti inutilmente stressanti, le contrazioni prolungate (specie se isometriche), il sovraccarico muscolare dovuto all’esecuzione di movimenti ripetitivi, o a movimenti eccessivamente rapidi e a scatto, o conseguente a sforzi eccessivi, l’uso eccessivo di uno o più gruppi muscolari.34
 

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