Il dolore: dalla fisiopatologia al modello bio-psico-sociale - Pathos

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Il dolore: dalla fisiopatologia al modello bio-psico-sociale


Review
Pathos 2024; 31. 2. Online 2024, Oct 30
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Francesco Amato,1 Erminia Gilda Morrone 2
1 Direttore UOC Terapia del Dolore e CP AO Cosenza,
Centro Hub Regionale
2 Biologa, Ass. Centro Studi Terapia del Dolore, Cosenza
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Riassunto
Il trattamento del dolore rappresenta uno degli aspetti più impegnativi della medicina e costituisce un aspetto fondamentale della gestione della malattia. La sensazione “dolore” è il risultato di una complessa interazione tra nervi periferici e sistema nervoso centrale; tuttavia, le strategie farmacologiche e non farmacologiche si rivelano talvolta non esaustive. Abbiamo osservato come le emozioni, la nostalgia, le differenze culturali ed etniche, il rapporto con gli altri suggeriscano un possibile meccanismo di analgesia nel modulare l'efficacia del trattamento farmacologico.
Summary
Pain management represents one of the most challenging aspects of medicine and a fundamental part of disease management. The sensation of pain is the result of a complex interaction between peripheral nerves and the central nervous system. However, pharmacological and non-pharmacological strategies are not always effective. Our observations suggest that emotions, nostalgia, cultural and ethnic differences, and relationships with others may serve as potential mechanisms of analgesia, influencing the efficacy of pharmacological treatment.
Parole chiave
Dolore, recettori TRPV1, modello bio-psico-sociale, relazioni, modulazione
Key words
Pain, TRPV1 receptors, bio-psycho-social model, relationship, modulation.

Introduzione
Il dolore gioca un ruolo importante nel sistema di difesa del corpo, per la sua capacità di rispondere a segnali potenzialmente dannosi ed è fondamentale per la sopravvivenza e l'interazione con l'ambiente circostante.1 Gli stimoli nocivi vengono trasdotti in segnali elettrici nei nocicettori (unità funzionali del sistema nocicettivo), che costituiscono una delle componenti chiave del sistema somatosensoriale, consentendo di percepire stimoli esterocettivi meccanici, chimici e termici.2 Studi recenti hanno dimostrato che i nocicettori svolgono un ruolo cruciale anche nel mantenimento dell'omeostasi difensiva (reattiva, immunitaria, comportamentale). Essi rispondono a stimoli potenzialmente dannosi all'interno di visceri, ossa, muscoli, pelle e organi sensoriali specializzati.

Patogenesi
Esistono numerosissime patologie caratterizzate da dolore, ma i meccanismi patogenetici che le sottendono sono riconducibili a pochi casi fondamentali:
  • dolore nocicettivo (generalmente fisiologico, ad alta soglia);
  • dolore nocicettivo infiammatorio acuto;
  • dolore cronico (a soglia abbassata);
  • dolore neuropatico (incluso dolore neuropatico localizzato).
Il dolore nocicettivo fisiologico, ad alta soglia, per stimoli termici, chimici, meccanici di alta intensità, ha un effetto protettivo. È quello che compare anche in reazione a un evento lesivo, per esempio di natura traumatica.
Mentre i nocicettori cutanei sono particolarmente sensibili agli stimoli termici, i nocicettori nei tessuti somatici profondi come le articolazioni e i muscoli sono soprattutto sensibili agli stimoli meccanici .
Uno stimolo termico nocivo in condizioni fisiologiche viene rilevato dai recettori TRPV1 (da 40 a 43 gradi Celsius).3-5  Il calore produce un cambiamento conformazionale che apre il canale cationico non selettivo (Ca2+) del TRPV1 e determina  una depolarizzazione locale. La depolarizzazione poi viene propagata dall'apertura dei canali del sodio voltaggio-dipendenti.
Ciò genera un potenziale d'azione afferente che viaggia verso i centri superiori.6
Il dolore infiammatorio può interessare diverse strutture ed è caratterizzato dall'attivazione dei nocicettori periferici.
Il dolore acuto rientra ancora in un ambito fisiologico,
l’infiammazione è una normale risposta dell’organismo nei confronti del danno ai tessuti a causa della presenza di agenti patogeni come virus, batteri, funghi e parassiti.
Traumi fisici, ustioni, radiazioni e congelamento sono altre possibili cause di infiammazione, allo stesso modo di sostanze chimiche corrosive come acidi, alcali e agenti ossidanti.
I sintomi dell’infiammazione acuta sono riconoscibili dalle manifestazioni di gonfiore, rossore, febbre e/o dolore.
Il dolore è causato in parte dalla distorsione dei tessuti determinata dal gonfiore, ma anche da alcuni mediatori chimici dell'infiammazione, come la bradichinina, la serotonina e le prostaglandine.
I neutrofili sono le cellule iniziali e predominanti nella fase acuta dell'infiammazione. I neutrofili contengono granuli ricchi di lisozima, metalloproteinasi di matrice, mieloperossidasi che vengono rilasciati sull'antigene estraneo o auto-antigene e ne provocano la distruzione. I neutrofili distruggono l'antigene anche attraverso la fagocitosi, il rilascio di specie reattive dell'ossigeno e citochine come IL-1, IL-6 e TNF-α.
I linfociti, i linfociti T e i linfociti B sono la linea di difesa successiva e svolgono un ruolo cruciale nel mediare l'infiammazione attraverso diversi meccanismi complessi, tra cui la secrezione di citochine, la costimolazione dei linfociti e la produzione di anticorpi e immunocomplessi.7
In questo quadro, il dolore è correlato all’abbassamento della soglia nocicettiva per effetto dei mediatori dell’infiammazione, con particolare riferimento alle prostaglandine e se  il dolore persiste entrano in gioco le citochine .
Gli agenti proinfiammatori attraverso i loro recettori causano modificazione biochimiche  a livello del terminale nocicettivo.
Per esempio, il trasduttore TRPV1 receptors che fisiologicamente si apre a 43° C, a causa di una fosforilazione causata da chinasi attivate dalle prostaglandine e citochine, si attiva a 37°C. La temperatura corporea è sufficiente a causare dolore.  Essendo la soglia abbassata, stimoli innocui portati al sito dell’infiammazione causano dolore: fenomeno dell’allodinia.

Cronicizzazione
Questi impulsi raggiungono la sinapsi centrale , che si modifica a sua volta con l’apertura dei recettori MNDA sensibili al glutammato. Il  calcio è il secondo messaggero, che attiva le chinasi, che vanno nel nucleo della cellula nervosa e ne modificano l’espressione genica. Nel momento in cui andiamo verso una cronicizzazione, si ha insomma una profonda modificazione della via dolore. Una risoluzione inadeguata dell’infiammazione oppure un’infiammazione non tenuta sufficientemente a bada può sfociare in uno stato infiammatorio persistente.
Pertanto, lo scopo delle terapie antinfiammatorie è primariamente ridurre la sensibilizzazione periferica attraverso il blocco della sintesi di prostaglandine e citochine.

Dolore neuropatico
Il dolore neuropatico (DN) insorge come diretta conseguenza di una lesione o di una patologia che interessa il sistema somatosensoriale a livello periferico o centrale.
Può essere la  conseguenza di alcune disfunzioni endocrine (neuropatia diabetica periferica dolorosa), di infezioni virali (nevralgia posterpetica), di un trauma (lesione del midollo spinale) o in seguito a diversi  trattamenti (chemioterapia, neuropatia periferica indotta). Il dolore neuropatico è stato anche associato a cancro o disturbi neurologici (sclerosi multipla, ictus, sindromi dolorose centralizzate).8
Frequentemente il dolore neuropatico ha un’origine compressiva o è legata alla  lesione di una fibra nervosa.
A livello del sito di lesione dei nervi afferenti periferici, sede primaria del dolore neuropatico, si osserva l'invasione delle cellule immunitarie. A questo fa seguito un rilascio prolungato di citochine e molteplici alterazioni nell'espressione genica.
Nel punto della lesione, si assiste anche ad una riorganizzazione funzionale della fibra con espressione di canali al sodio di tipo diverso (embrionali) e diminuzione di canali al potassio che normalmente conferiscono stabilità elettrica al neurone. Il risultato è la creazione di un sito ectopico (il dolore non origina dalla periferia) ad alta frequenza di scarica, spontanea o evocata a seconda delle patologie.
I canali al sodio voltaggio-dipendenti sono il bersaglio di farmaci inibitori che ne riducono la scarica.
La prima stazione di integrazione per gli stimoli nocicettivi provenienti dalla periferia ,implicata nel dolore infiammatorio e/o neuropatico periferico, è il midollo spinale.8
In seguito a stimoli cronici, anche il midollo spinale abbassa la sua soglia nocicettiva, fenomeno noto come sensibilizzazione spinale, a causa di modificazioni biochimiche soprattutto a carico del neurone spinale.
L'aumento dell'attività del recettore N-metil-D-aspartato (NMDA) nel midollo spinale svolge un ruolo fondamentale nell'induzione della sensibilizzazione centrale, un processo importante nello sviluppo e nel mantenimento dell'ipersensibilità al dolore.9
In condizioni fisiologiche, i recettori NMDA sono bloccati dal magnesio.
Tuttavia, il blocco del magnesio dei recettori NMDA viene rimosso in condizioni patologiche e l'attivazione del recettore NMDA  aumenta attraverso diversi meccanismi, inclusa la fosforilazione dello stesso.10
Studi recenti hanno evidenziato anche un’ interazione dei recettori NMDA e TRPV1 receptors  a livello del  midollo spinale nelle cavie  e sembra essere coinvolta nella trasmissione del dolore infiammatorio e neuropatico.
I TRPV1 si presentano sia a livello  presinaptico che  postsinaptico spinale e  si collegano ai meccanismi di esacerbazione del dolore neuropatico.11
L'ipereccitabilità persistente mediata dal glutammato contribuisce anche all'insufficienza del tono inibitorio GABAergico nel corno dorsale del midollo spinale (DH).
Anche l’aumento precoce dei radicali liberi dell'ossigeno dovuto allo stress ossidativo causa una riduzione della neurotrasmissione GABAergica attraverso la modulazione dei canali del cloruro GABAA attenuando la trasmissione sinaptica inibitoria nel corno dorsale superficiale.12
Inoltre è stata osservata una  sovraregolazione dei recettori P2X4 (a livello della glia) , ciò  determina il rilascio di fattori neurotrofici derivati dal cervello (BDNF) e causano variazioni nel gradiente anionico di membrana . Anche questo elemento  contribuisce  alla non riduzione del segnale eccitatorio normalmente  indotto dal  GABA.13

Il ruolo del midollo rostrale ventromediale (RVM)
Salendo verso i centri superiori, il midollo rostrale ventromediale (RVM) è un  mediatore chiave dell'analgesia sopraspinale in particolare per  quella indotta dagli oppioidi. In questa regione del tronco cerebrale sono stati identificati due diversi tipi di strutture cellulari neuronali fisiologicamente definibili ove agiscono gli oppioidi. Le cellule "Off" che vengono attivate dalla morfina e che  inibiscono la trasmissione nocicettiva, mentre le cellule "On"  che  svolgono un ruolo pronocicettivo quando viene depressa la loro l'attività.14
Gli oppioidi interagiscono  oltre che con il midollo rostrale ventromediale RVM, anche  con  il PAG (il grigio periaqueduttale) e il locus coeruleus e influenzano il passaggio finale delle informazioni nocicettive al corno dorsale del midollo spinale.15
Il PAG riceve segnali dalla corteccia frontale, dall'amigdala e dall'ipotalamo e proietta gli input alla RVM e al tronco encefalico inferiore, influenzando la percezione del dolore (Zhang & Lee, 2018). Il PAG, in sintesi, integra questi segnali e li trasmette alla RVM, che può promuovere e/o inibire il dolore secondo percorsi di attivazione specifici (Kwon et al, 2014).

Il ruolo dei centri superiori
Esaminiamo quindi alcuni protagonisti importanti nella elaborazione del dolore :
-la corteccia cingolata anteriore (ACC) che ha un ruolo chiave nell'elaborazione del dolore e delle emozioni ad esso correlate 16,17 e si connette ampiamente con il tronco encefalico e il mesencefalo, compresa il midollo rostrale ventromediale RVM.15
-L'amigdala invece è un attore chiave del dolore affettivo. Quest'ultima è una regione sottocorticale che modella le componenti emotive del dolore.
Poiché i recettori oppioidi sono presenti nel nucleo centrale (CeA) dell'amigdala, è stato proposto che anche quest'area contribuisca al controllo del dolore attraverso meccanismi oppioidi.

Circuito di modulazione  discendente del dolore rACC/PAG/RVM
E' interessante notare come le vie discendenti che modulano il dolore siano attivate  dalle molecole farmacologiche ma anche  dal contesto psicosociale. Ciò è stato osservato dagli studi  condotti sul placebo, il quale produceva effetti simili a quelli del farmaco.19
È stato osservato che il placebo attiva gli stessi recettori e le stesse vie biochimiche dei farmaci, ed è quindi in grado di produrre un cambiamento nell'attività neuronale. In particolare, la somministrazione di un placebo induceva l'attivazione di tre importanti regioni cerebrali: la corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC), la corteccia cingolata anteriore rostrale (rACC) e il grigio periacqueduttale (PAG), suggerendo così che sia coinvolto il circuito di modulazione del dolore rACC/PAG/RVM discendente nell'analgesia placebo.
Gli studi PET utilizzando la tomografia ad emissione di positroni  hanno evidenziato che l'analgesia con placebo e l'analgesia con oppioidi condividono un meccanismo neurale comune e che la trasmissione del dolore è inibita dai placebo.19
Ma l’aspettativa positiva del placebo raggruppa i vari stimoli sensoriali e sociali del  contesto psicosociale in cui siamo immersi. Tra questi dati di evidenza, mostrano  un ruolo molto importante le suggestioni verbali positive che inducono aspettative positive nel paziente e hanno un effetto analgesico.
In particolare, è stato osservato come  le suggestioni verbali siano in grado di attivare non solo  i recettori oppioidi (i recettori mu, specifici per la morfina), ma anche i recettori CB1 degli endocannabinoidi, la via delle cicloossigenasi (aspirina-FANS) e i recettori della dopamina, esattamente come fanno i farmaci ma con durata, variabilità e grandezza dell’effetto che può risultare minore.20
Visto che nel corso dell’evoluzione sono nate prima le parole e poi i farmaci, è più corretto dire che i farmaci attivino gli stessi meccanismi delle parole.
Sempre in questo ambito di ricerca è interessante notare come recenti studi, utilizzando la risonanza magnetica, abbiano messo in evidenza un’attivazione talamica e una connettività funzionale talamo-PAG correlata ai ricordi positivi.
Gli autori hanno osservato come il talamo svolga un ruolo chiave nel collegamento funzionale tra nostalgia e dolore. Ciò suggerisce un possibile meccanismo di modulazione analgesica indotta dai ricordi. I risultati hanno mostrato che il paradigma della nostalgia ha ridotto significativamente la percezione del dolore in particolare degli stimoli termici nocivi.21
L’effetto di ridurre la percezione del dolore era legata alla visione di immagini nostalgiche (il ricordo o immagine della bici utilizzata da bambini, scene dell’infanzia, ad esempio il cortile della vecchia scuola, una caramella in voga tra i bambini di allora o un vecchio gioco dei tempi in cui erano bambini, il profumo dei biscotti dell’infanzia); esse inducevano la secrezione di sostanze che abbassavano la percezione del dolore, come la serotonina, la noradrenalina e le endorfine.
Data la sua valenza prevalentemente positiva, la nostalgia svolge quindi una funzioni analgesica attivando vie neuronali plasmate dall’evoluzione.

Ipotesi di modulazione del dolore: i fattori sociali e culturali
La modulazione del dolore include però anche fattori sociali.22 Tra i fattori che in letteratura vengono descritti come rilevanti sul determinismo della percezione del dolore riscontriamo il  contesto socio-familiare e quello etnico.
Studi pediatrici hanno messo in evidenza come il contesto relazionale-familiare in cui vive un bambino può alterare la modalità di percezione della soglia del dolore.23
E’ stato osservato come il dolore e la paura sperimentati dai bambini nel corso della punzione venosa siano correlate alla capacità di regolazione delle emozioni dei genitori.
Questi ultimi infatti mettono in atto una serie di comportamenti che  dirigono l'attenzione del bambino verso la procedura e comunicano inavvertitamente l’ansia, la paura o le loro stesse  preoccupazioni.
Quindi i fattori che influenzano la percezione del dolore nel bambino sembrano correlate, in vario  modo, ai comportamenti dei genitori in base alla loro capacità di regolazione delle emozioni con l’effetto di amplificare o ridurre la percezione del dolore pediatrico.24
La percezione e la risposta al dolore possono essere fortemente influenzate da differenze culturali ed etniche.
Alcune popolazioni, per esempio le Comunità Zulu e Aborigene (Sud Africa e Australia) riescono a tollerare meglio il dolore, ma soprattutto a provarne meno. La loro aspettativa verso il mal di schiena e verso il dolore in generale è positiva.
Essi pertanto hanno un approccio verso il dolore completamente diverso rispetto i popoli  del mondo occidentale, che  tendono a rimanere a riposo con paura di muoversi e ricusano il dolore considerandolo una malattia.25
Vediamo poi come i determinanti sociali possano influenzare in modo positivo o negativo la percezione  del dolore.
Da un'analisi statistica integrata di 1.191 donne con carcinoma mammario in fase iniziale trattate in un grande centro oncologico a Memphis, nel Tennessee si è osservato come il dolore sia l'effetto collaterale più comune del cancro al seno.
Lo studio ha mostrato che un'adeguata gestione dello stesso è fondamentale per supportare la tolleranza al trattamento.26-27 La qualità della vita delle pazienti quindi è un elemento importante per migliorare la cura del cancro.27 Si è osservato che il dolore tra le donne con carcinoma mammario è significativamente associato allo stress.28 Le pazienti socialmente isolate avevano un rischio maggiore di mortalità per cancro al seno rispetto alle pazienti socialmente integrate.29-30
Anche i determinanti sociali hanno mostrato un'associazione significativa con la percezione del dolore.31 Le donne che vivevano nei quartieri più poveri potevano avere un sottotrattamento del  dolore.
Da questi studi si poteva dedurre che sia la gestione del dolore post-diagnosi nella paziente con carcinoma mammario sia il piano di cura della paziente stessa deve prendere in considerazione non solo i fattori patologici ma anche  le condizioni sociali che permettono una migliore gestione del dolore e della malattia.32

Ipotesi di modulazione del dolore in relazione al rapporto con gli altri
Infine è interessante notare i risultati di recenti studi che hanno misurato gli effetti delle relazioni sociali sulla percezione del dolore.
In particolare, gli studi di Wang e collaboratori hanno evidenziato come l'esperienza soggettiva del dolore potesse essere alterata quando si decideva di aiutare un'altra persona.
Gli studi di neuroimaging  ci hanno mostrato che le regioni prefrontali (per esempio, la corteccia prefrontale dorsolaterale [DLPFC]) e  le aree associate all'elaborazione affettiva del dolore (amigdala)  modulano gli effetti dell'aspettativa del dolore sulle valutazioni soggettive.33-35
Anche il PAG è stato ampiamente riconosciuto per il suo ruolo nella modulazione del dolore.36-37 in questo tipo di situazione di feedback sociale.
L’aiutare gli altri, donando a uno sconosciuto 38 o partecipando alla sofferenza di una persona vicina,39 induceva beneficio.
In conclusione, a livello neurale la condizione altruistica (rispetto al controllo) portava una riduzione della risposta agli stimoli dolorosi nelle aree cerebrali correlate al dolore.40

Discussione e Conclusioni
Alla luce di quanto detto, dopo un percorso di analisi e valutazioni da parte di una  Task Force di esperti internazionali, la IASP ha riformulato
la definizione di “Dolore” (Pain 23 may 2020) o “Pain”. Quest’ultima sembra  riportarci all'etimologia greca “ποινή” che ci permette di ripensare al dolore nella sua multidimensionalità.
Il dolore non è semplicemente una trasduzione di impulsi legati a una noxa patogena  e che viaggia attraverso il sistema nervoso variandone la plasticità, ma esso rappresenta un vissuto personale .
Il modello biopsicosociale (BPS)  “evoluzione del modello biomedico“ (che si avvale di  trattamenti farmacologici e/o  mini-nanoinvasivi) può rappresentare una nuova opportunità al fine di migliorare la gestione della malattia e la qualità di vita sia dei pazienti con dolore che dei loro familiari.
Mettere al centro il paziente alla luce del suo contesto sociale significa rendere ogni percorso terapeutico assolutamente personalizzato e unico il che permetterà una migliore gestione del dolore e della malattia.

Conflitto di interessi
Gli autori dichiarano assenza di conflitto di interessi
Open Access-license (CC BY-NC 4.0)
Read Non-Commercial license
Published
30th October 2024
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