Nevralgia post-erpetica: diagnosi e terapia - Pathos

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Nevralgia post-erpetica: diagnosi e terapia

Una situazione clinica che è la sintesi
di tutti i tipi di dolore neuropatico
Review
Pathos 2024; 31. 1. Online 2024, Jun 30
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Guido Orlandini
Medicina del dolore
Villa Ravenna (Chiavari-Ge)
Istituto SYNLAB (Monza-MB)
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Riassunto
La nevralgia post-erpetica (NPH) è particolarmente interessante per l’algologo perché può essere prodotta da tutti i meccanismi patogenetici del dolore neuropatico, singolarmente o variamente associati. La NPH è causata dalla riattivazione nei gangli spinali o cranici del virus della varicella che avvia meccanismi patogenetici differenti a seconda della sede nervosa raggiunta: nel ganglio comporta il danno dei corpi cellulari e la deafferentazione del 2°neurone (NPH da deafferentazione o III tipo), migrando verso la cute provoca il danno dei nervi periferici con interruzione della fibra nervosa (NPH da neuropatia assonale o II tipo A) e/o la demielinizzazione delle fibre Aα, Aβ e Aδ (NPH da demielinizzazione o II tipo B) nonché il danno dei nocicettori (NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori o I tipo). Infine, la migrazione centripeta del virus verso il nevrasse comporta il danno della radice dorsale (NPH III tipo) e dei neuroni centrali (NPH centrale o IV tipo).
Summary
Post-herpetic neuralgia (PHN) is of particular interest to the algologist because it can be produced by all the pathogenetic mechanisms of neuropathic pain, singly or variously associated. PHN is caused by reactivation in the spinal or cranial ganglia of the varicella virus, which initiates different pathogenetic mechanisms depending on the nerve site reached: in the ganglion it involves cell body damage and deafferentation of the 2nd neuron (deafferentation PHN or type III), migrating to the skin it causes peripheral nerve damage with nerve fiber disruption (axonal neuropathy PHN or type II A) and/or demyelination of Aα, Aβ and Aδ fibers (demyelination PHN or type II B) as well as nociceptor damage (persistent nociceptor hyperexcitability PHN or type I). Finally, centripetal migration of virus towards the neuraxis results in damage to the dorsal root (Type III PHN) and central neurons (central PHN or type IV).
Parole chiave
Nevralgia, post-erpetica, herpes zoster, dolore, neuropatico, terapie
Key words
Neuralgia, postherpetic, herpes zoster, pain, neuropathic, therapies

Introduzione
Nel capitolo del dolore neuropatico, la Nevralgia post-erpetica (NPH) è una condizione molto particolare perché, lungi dall'essere un’unica entità, in essa sono possibili tutti i tipi patogenetici di dolore neuropatico, singolarmente o variamente rappresentati, provocando la diversa gravità del quadro clinico, condizionando la prognosi e complicando la terapia. Per questo lo studio della NPH è particolarmente interessante: esso, infatti, propone vari e stimolanti quesiti che fanno riconsiderare criticamente le nostre conoscenze di fisiopatologia del dolore, di semeiotica del dolore e di decisione terapeutica.
Rimossa la semplicistica credenza che la NPH sia un’unica entità, va chiarito addirittura cosa s’intende per essa. Per alcuni la NPH è qualsiasi dolore che rimane dopo la guarigione delle lesioni cutanee da herpes zoster (HZ) vale a dire 2-4 settimane e per i più è il dolore che persiste per 3 mesi, per 6-12 mesi o per sempre. E’ chiaro che se consideriamo NPH solo il dolore che persiste per più di un anno, la sua incidenza è alquanto inferiore rispetto al caso in cui consideriamo tale anche il dolore presente appena dopo la risoluzione dell’eruzione cutanea o dopo 3 mesi.
Se c’è approssimazione sull'incidenza dell’HZ (300-800 casi/100.000/abitanti/anno,1-4 ancora più c’è sull'incidenza della NPH. Infatti, dato che in molti pazienti l’infezione da HZ provoca sintomi che si prolungano nel tempo tanto da giustificare l’espressione popolare di “male delle nove lune” e che vi è la tendenza alla guarigione spontanea, se non si stabiliscono netti confini fra l’HZ e la NPH, non solo non si può sapere quando finisce l’uno e comincia l’altra ma neppure si può stabilire con certezza qual è l’incidenza della NPH. Secondo Kost e Straus.1 il 70 per cento dei casi di HZ diventano NPH che guariscono in un anno e il 45% diventano NPH che durano per sempre. Per alcuni l’HZ diventa NPH nel 20% dei casi.5 e altri parlano del 33 per cento.6 Secondo Paisley e Serpell 7 la NPH si presenta a seguito dell’HZ nel 60 per cento dei pazienti di più di 50 anni e nel 75 per cento di quelli di oltre 75 anni.
Infine, per quanto riguarda la sede coinvolta, sarebbe interessata la regione toracica nel 55% dei casi, quella lombare nel 14 per cento, quella cervicale nel 12 per cento, quella sacrale nel 3 per cento e quella craniale nel 15 per cento.8-9

Espressività clinica
Un altro elemento di confusione riguarda l’espressività clinica della NPH: per alcuni si parla di NPH solo se c’è il dolore e non quando c’è solo l'allodinia, considerata come “sensibilità anormale”, e per altri anche con la sola presenza dell'allodinia. Nel 70-80% dei casi un periodo prodromico con dolore precede di 4-5 giorni la comparsa dell’eruzione herpetica: alcuni pazienti hanno un periodo prodromico più lungo (fino a 100 giorni) mentre in altri non c’è periodo prodromico e il dolore compare con l’esordio dell’eruzione o persino dopo. In qualche caso, infine, si ha soltanto il dolore senza eruzione cutanea (zoster sine herpete). Nel 1979 Lipton 10 riassumeva i caratteri clinici della NPH stigmatizzandoli nei seguenti punti: 1) dolore uniforme, urente o disestesico; 2) dolore parossistico, folgorante; 3) allodinia.

Patogenesi
Circa la patogenesi della NPH sono stati chiamati in causa fattori molto diversi fra loro e questo spiega la diversità dei trattamenti proposti assieme alla mancanza di una chiara correlazione fra essi e il meccanismo patogenetico. L’unico dato universalmente condiviso è che nei soggetti che nell'infanzia hanno contratto la varicella, il virus varicella-zoster resta annidato per tutta la vita nei gangli sensitivi e la sua riattivazione è impedita dall'immunità cellulare indotta dalla primitiva infezione. E’ una riduzione delle difese immunitarie a permettergli di riattivarsi e riprendere a replicarsi. Nel corso della vita, il rischio di riattivazione del virus con produzione dell'HZ sarebbe intorno al 30 per cento.11
Va notato che la ripresa d’attività del virus trova il sistema immunocompetente sensibilizzato all'epoca della varicella, per cui la risposta immunitaria è abbastanza vivace da confinarlo nella sede dove è iniziata. Per questo, l’HZ interessa abitualmente solo un metamero e la sua diffusione oltre quella zona, in genere con esito letale, si ha solo in pazienti gravemente immunodepressi.
Storicamente, si sono susseguite numerose ipotesi per spiegare la patogenesi della NPH ed è il caso di esaminare brevemente quelle più significative perché, pur non essendo singolarmente esaurienti, forniscono ciascuna un tassello alla sua comprensione.

Ipotesi dello sbilanciamento delle afferente (“input imbalance”)
Nel 1959 Noordenbos 12 ipotizzò che la ganglioradicolite producesse il danno delle fibre mieliniche Aβ cui conseguirebbe la ridotta inibizione delle afferenze nocicettive. L’ipotesi dell’input imbalance (intimamente collegata alla teoria del gate-control di Melzack e Wall 13 è la più nota tra quelle proposte per spiegare la patogenesi della NPH.

Ipotesi dei contatti efaptici
Infettati con il virus dell'HZ i gangli delle radici dorsali del ratto, Schon e Coll 14 osservarono che la ganglioradicolite, forse per la costituzione di contatti efaptici, comporta una scarica ripetitiva ed ipersincrona delle cellule gangliari che può essere responsabile di un cronico input anomalo al midollo e quindi del persistere del dolore.

Ipotesi della flogosi cronica
La NPH sarebbe sostenuta dal persistere dell’infiammazione provocata dalla riattivazione del virus. Di fatto, in uno dei riscontri autoptici di Watson e Coll15 sono stati riscontrati infiltrati linfocitari ad impronta flogistica nel ganglio della radice dorsle (GRD) e secondo Devor,16 la remissione della flogosi determina l’abolizione dei focolai di elettrogenesi ectopica. A sostegno della tesi dell’infiammaziome, Kim e Coll 17 valutarono l’importanza dell’indagine sui markers dell’infiammazione (VES, Proteina C-reattiva e conteggio dei globili bianchi) come fattore predittivo dell’evoluzione dell'HZ in NPH, segnalando che la VES è il marker più significativo. Inoltre, recentemente gli stessi Kim e Coll,17 osservando che la temperatura cutanea passava dal caldo al freddo 12 settimane dopo l’HZ denunciando la fine della fase infiammatoria, sostennero che solo se il dolore è ancora presente dopo 3 mesi si può parlare di NPH. In realtà, la cosiddetta fase infiammatoria può durare molto più di 3 mesi,18 e quindi non è chiaro se convenga parlare di NPH solo quando la fase infiammatoria si è risolta e resta il danno nervoso permanente o anche quando la flogosi è ancora presente ed è concausa o in qualche caso addirittura la causa principale della NPH. Nel primo caso, siamo di fronte a una NPH provocata dal danno nervoso, senza possibilità di guarigione che durerà per sempre mentre nel secondo caso siamo di fronte ad una NPH infiammatoria che è trattabile con il metilpredisolone (intratecale o peridurale) e, se non ha prodotto eccessivi danni nervosi, si risolverà entro un certo tempo (3-6-12 mesi).

Ipotesi della vasocostrizione da ipertono simpatico
Secondo Colding,19 la ganglioradicolite provoca un input anomalo sul corno dorsale del midollo spinale e il conseguente ipertono simpatico produce una vasocostrizione isosegmentale responsabile di ischemia, ipossia e lisi cellulare. A sua volta, il dolore così prodotto mantiene l’input anomalo sul midollo spinale e l’ipertono simpatico responsabile, in circolo vizioso, della cronica attivazione dei nocicettori. Questa tesi che avvicina patogeneticamente la NPH alla CRPS-I secondo la teoria classica di Leriche 20 e Livingston 21 non è del tutto convincente mentre (senza considerare il circolo vizioso) è probabilmente valida la tesi che la vasocostrizione produca il danno ischemico delle fibre nervose.22

Ipotesi dei “pacemaker ectopici”
Una più recente ipotesi patogenetica16 è quella dei “pacemaker ectopici” che si troverebbero nell'assone e nel GRD. Secondo questa teoria, si formerebbero lungo l’assone dei focolai (micro neuromi e zone di demielinizzazione) dove diventa possibile l’attivazione ectopica della fibra sia a aseguito di stimoli localmente applicati che spontaneamente, a sua volta responsabile della produzione e del mantenimento dell’ipereccitabilità centrale.
I “pacemaker ectopici” nell’assone
E’ stato riscontrato che nella NPH si ha perdita delle piccole fibre nell’epiderma e questa osservazione l’avvicina al dolore neuropatico da danno delle piccole fibre. Il danno delle piccole fibre potrebbe essere dovuto alla distruzione dei corpi cellulari nel ganglio ed alla conseguente degenerazione walleriana dei corrispondenti assoni oppure al fenomeno che Devor chiama “dying-back” che non dipenderebbe dalla distruzione delle cellule gangliari infettate ma da un loro “stress metabolico responsabile di una degenerazione parziale dell’assone. “Retraendosi” (per usare una parola di Devor) dal nocicettore, l’assone produrrebbe nella sua compagine i microneuromi che scaricano spontaneamente. L’ipereccitabilità quindi non sarebbe a carico dei nocicettori ma dei microneuromi che si formano nell’assone, prossimamente ai nocicettori.
I “pacemaker ectopici” nel GRD
Oltre l’elettrogenesi ectopica a livello assonale distale, la tesi dei pacemaker ectopici considera anche una possibile elettrogenesi ectopica nel GRD. Storicamente il GRD è stato considerato una possibile sede di elettrogenesi ectopica nel dolore neuropatico da neuropatia assonale (assieme al neuroma) e addirittura pare che questa anomalia sia particolarmente sensibile agli anestetici locali giustificandone l’efficacia con la somministrazione sistemica. E’ stato persino ipotizzato che se è efficace la somministrazione sistemica di anestetici, il danno è gangliare, altrimenti è nel neuroma.
La sensibilizzazione centrale
Nell'ipotesi dei pacemaker ectopici è rimarcato il ruolo della sensibilizzazione centrale indotta e mantenuta dalle afferenze provenienti dai focali di elettrogenesi ectopica nei microneuromi nei terminali delle fibre nervose e nelle cellule gangliari.
L’allodinia
Un altro elemento da considerare è l’allodinia: se consideriamo possibile un ruolo dei nocicettori, essa deve essere considerata C-mediata, ma nella tesi di Devor non si può prescindere da un'allodinia Aβ-mediata da persistente ipereccitabilità centrale.
In definitiva, secondo, l’ipotesi patogenetica dei pacemaker ectopici, l’attenzione andrebbe spostata dal SNC al SNP: non si tratterebbe più di dolore da deafferentazione o centrale ma di dolore neuropatico periferico da attivazione di un’elettrogenesi ectopica nell'assone o nel GRD dove l’ipereccitabilità centrale funzionerebbe come fattore aggravante. Ovviamente, questa veduta sposta le decisioni terapeutiche verso il controllo della disfunzione del primo neurone con misure come l’applicazione di cerotti medicati.

Ipotesi che (integrando le precedenti) si basa sulla sede del danno nervoso
Anche se nessuna delle ipotesi precedenti spiega da sola la complessa patogenesi della NPH, riprendendo alcuni concetti e collocandoli in una certa sequenza, si può pensare che la flogosi del ganglio induca l’ipertono simpatico e che questo, a sua volta, provochi la vasocostrizione e di conseguenza il danno ischemico del tessuto nervoso.
Introducendo ora il concetto della migrazione del virus per trasporto assonale dal ganglio sensitivo verso il nevrasse e verso la periferia fino alla cute, si può supporre che in ogni sede dove giunge, il virus provochi la flogosi che a sua volta avvia la successione “ipertono simpatico -> vasocostrizione -> danno ischemico del tessuto nervoso”. Le conseguenze di quest’ultimo sono diverse a seconda della sede dove si manifesta e quindi si possono avere il dolore da ipereccitabilità dei nocicettori, da neuropatia assonale, da demielinizzazione, da deafferentazione e centrale. Da questo si comprende che (in accordo con Peng e Coll)23 quando sostengono che la NPH è sostenuta da molti fattori patogenetici contemporaneamente operanti) la NPH non è un’unica entità patogenetica ma una realtà clinica dove sono possibili tutti i tipi patogenetici di dolore neuropatico, singolarmente o variamente rappresentati, provocando la diversa gravità del quadro clinico e condizionando la prognosi che può essere quella di una malattia destinata a guarire o a durare per sempre.
Le conoscenze più significative sulla patogenesi della NPH derivano dai riscontri anatomici su 5 pazienti deceduti per patologie intercorrenti e sottoposti a esame autoptico.16 Tra questi soggetti, tre erano affetti da NPH al decesso e due avevano avuto un HZ rispettivamente 2 e 3 mesi prima (Figura 1)
Riferendoci ai 3 casi di NPH, questo studio ha evidenziato:
1) la perdita di assoni e mielina nel nervo periferico distalmente al ganglio (NPH da neuropatia assonale e da demielinizzazione);
2) la perdita di corpi cellulari, assoni e mielina sostituiti da tessuto fibroso nel ganglio (NPH da deafferentazione);
3) la perdita di assoni e mielina nella radice dorsale (NPH da deafferentazione);
4) la marcata atrofia nel corno dorsale del midollo spinale.
Inoltre, in un caso sono stati riscontrati infiltrati linfocitari a impronta flogistica nel ganglio e nella radice dorsale che potrebbero essere stati responsabili di una NPH su base infiammatoria cronica che non corrisponde al danno nervoso ma potrebbe esserne la causa.  
Da quanto precede si evince che nella NPH il danno nervoso iniziale risiede nel ganglio spinale o cranico (ganglio di Gasser, ganglio petroso di Andersch, ganglio genicolato[1]) dove si verifica la riattivazione del virus varicella-zoster e la sua proliferazione ed è da questa sede che parte la sua migrazione per trasporto assonale nel dendrite verso il nevrasse e nel neurite verso la cute.
La proliferazione del virus nel ganglio spinale o cranico comporta che le prime strutture nervose a essere danneggiate siano i corpi cellulari con un danno che causa la deafferentazione del 2°neurone (NPH da deafferentazione o del III tipo).
La migrazione centrifuga del virus verso la cute provoca, oltre al transitorio danno cutaneo che si esprime con la tipica eruzione erpetica della fase acuta (caratterizzata da un “normale” dolore tessutale), il danno dei nervi periferici che può comportare l’interruzione della fibra nervosa (NPH da neuropatia assonale o del II tipo A) e la demielinizzazione delle fibre Aα, Aβ e Aδ con conseguente incorporazione di neoformati canali ioni per il Na e avvio del dolore da demielinizzazione (NPH da demielinizzazione o del II tipo B) tipicamente parossistico e infine il danno dei nocicettori cutanei (NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori o del I tipo).
La migrazione centripeta del virus verso il nevrasse comporta, oltre il danno della radice dorsale responsabile della NPH da deafferentazione, anche un potenziale danno nervoso centrale che può estendersi longitudinalmente coinvolgendo i segmenti vicini sopra e sottostanti (NPH centrale o del IV tipo con deficit sensitivo severo perché interessa più segmenti spinali limitrofi) (Figura 2) (FIgura 3)

Considerazioni sulla NPH del IV tipo
La NPH del IV tipo (da lesione centrale) merita alcune considerazioni. La distruzione delle cellule del corno dorsale del midollo spinale estesa a più metameri confinanti giustifica il grave deficit sensitivo (che non è analgesia ma “anestesia” perché la lesione centrale non interessa solo le cellule di origine del secondo neurone nocicettivo ma anche le fibre Aβ che decorrono medialmente al corno dorsale del midollo spinale per entrare nella DREZ) ma non provoca il dolore centrale e neppure l’allodinia.  
A questo proposito, ricordiamo la fisiopatologia del dolore centrale: la lesione anatomica che lo produce è quella isolata del fascio neo-spinotalamico che, “deafferentando” i nuclei ventro-postero-mediale e ventro-postero-laterale (VPM-VPL) che normalmente attivano il nucleo reticolo-talamico (RT), rimuove l’inibizione GABA-ergica esercitata da quest’ultimo sul nucleo dorso-mediano (DM) e sugli stessi nuclei VPM-VPL con conseguente prevalenza dell’attività glutamatergica del fascio paleo-spinotalamico e del SAM. Ben diverso è il danno anatomico nella NPH con lesione centrale perché essa non coinvolge il fascio neo-spinotalamico ma comporta nel corno dorsale del midollo spinale il danno delle cellule di origine del fascio neo-spinotalamico, del fascio paleo-spinotalamico e del SAM come la DREZ-lesion.
In definitiva, quella che sembra essere l’espressione più grave della NPH potrebbe invece rappresentare una sua evoluzione favorevole dato che la lesione che la produce è uguale a quella che si ottiene eseguendo la DREZ-lesion.

Perché alcune NPH guariscono e altre no
Alcune NPH si risolvono (anche spontaneamente) in 3-12 mesi e altre non si risolvono affatto, perché la remissione della flogosi determina l’abolizione dei focolai di elettrogenesi ectopica,23  e questo spiega la remissione delle NPH sostenute dal danno periferico (recettoriale o assonale); ma per avere un quadro più completo, ragioniamo sulla possibilità di remissione spontanea del dolore neuropatico in generale. Chiaramente non c’è remissione del dolore del moncone da amputazione provocato da un danno assonale a carico di tutte le fibre nervose di tutti i nervi periferici dell’arto amputato, mentre può esserci nella radicolopatia lombosacrale, che comporta un danno assonale circoscritto a un numero limitato di fibre nervose nell'ambito del nervo radicolare coinvolto, e anche nella nevralgia del trigemino provocata da focolai di demielinizzazione e nel dolore da ipereccitabilità dei nocicettori. Da quanto sopra, si deduce che la remissione del dolore neuropatico è possibile in alcuni tipi patogenetici e non in altri. Applicando questa regola alla NPH, si può pensare che la remissione sia possibile a seconda del tipo prevalente di danno neuropatico che la sostiene. La NPH può recedere in qualche mese se è sostenuta dal danno recettoriale (NPH del I tipo), dal danno assonale o dal danno della mielina (NPH del II tipo) ma non se è sostenuta dalla deafferentazione (NPH del III tipo).

Diagnosi
Clinicamente, per riconoscere il tipo patogenetico di NPH, possiamo fare riferimento ad una serie di criteri che sono: la distribuzione topografica del dolore, la presenza e il tipo del deficit sensitivo, la presenza dell’allodinia e il carattere dell’andamento dell’intensità del dolore (Tabella 1).
Conviene avviare il ragionamento diagnostico partendo dal criterio della distribuzione topografica del dolore che può essere locale (area che ricalca la distribuzione della lesione tessutale), metamerica (area che corrisponde al campo recettoriale periferico di un nervo radicolare o di una radice nervosa), periferica  (area che corrisponde al campo recettoriale di un nervo periferico) o plurimetamerica.
Se la distribuzione topografica del dolore è locale si tratta sicuramente di NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori (Figura 4): in questo caso non si riscontrano deficit sensitivi (perché i nocicettori sono attivati addirittura in eccesso), si ha allodinia (C-mediata, perché i nocicettori sono ipereccitabili) e, per quel che riguarda l’andamento dell’intensità, il dolore ha carattere uniforme.
Se la distribuzione topografica del dolore è metamerica, si tratta di NPH del II o del III tipo. Nel caso dei nervi spinali non si ha deficit sensitivo perché i nervi illesi sopra e sottostanti raccolgono le informazioni dal territorio di quello danneggiato; nel caso del trigemino invece può esserci ipo-anestesia perché ogni territorio trigeminale è innervato da una sola branca senza sovrapposizioni. L’allodina è presente nella NPH del II tipo e non in quella del III tipo. Nella NPH da neuropatia assonale, l’allodinia dinamica (Aβ-mediata) dipende dalla patologia eccitazione del secondo neurone ad opera delle fibre Aβ che, come fenomeno compensatorio sono proliferate a seguito della degenerazione trasganglionare delle fibre C conseguente al danno dei neuriti. Nel caso della NPH da demielinizzazione, l’allodinia dinamica (Aβ-mediata) dipende dallo stesso meccanismo che la produce nella Nevralgia del trigemino dove lo stimolo tattile che attiva le fibre Aβ provoca la depolarizzazione presinaptica delle fibre C inducendone la scarica massiva e il dolore parossistico.24
L’allodinia è assente nella NPH del III Tipo (da deafferentazione) perché mancano le fibre Aβ. Nel dolore da deafferentazione non c’è l’allodinia perché, se ci fosse, dovrebbe essere Aβ mediata, dato che non ci sono ragioni perché sia C mediata. Però, se c’è l’attività delle fibre Aβ, può esserci la deafferentazione ma non il dolore da deafferentazione e se c’è il dolore da deafferentazione vuol dire che non si ha l’attività delle fibre Aβ.
Infine, se la distribuzione topografica del dolore è plurimetamerica, si tratta di NPH del IV tipo (Centrale) che si associa ad anestesia senza allodinia perché non ci sono afferenze C o Aβ in grado di provocarla.  

Prevenzione dell’herpes zoster
La prevenzione dell’HZ può essere attuata soltanto con la vaccinazione. Vi sono due tipi di vaccino anti-zoster: uno è costituito di cellule virali attenuate ("zoster vaccine")25,26 e un altro (“vaccino ricombinato”) che contiene un antigene del virus con un adiuvante che si chiama ASO1B (sic).
E' stato ripetutamente segnalato che lo “zoster vaccine” è controindicato nei soggetti immunodepressi,26 cioè in quelli che ne hanno più bisogno, mentre il vaccino ricombinato non avrebbe questa controindicazione.27
Circa l’efficacia, da uno dei primi studi,28 che includeva 38546 soggetti di età maggiore di 60 anni sottoposti a random alla vaccinazione con lo "zoster vaccine" o al placebo risulta che in un periodo di osservazione medio di 3 anni 957 contrassero l’HZ (315 tra i vaccinati e 642 tra i non vaccinati) e 107 contrassero la NPH (27 tra i vaccinati e 80 tra i non vaccinati): in pratica la vaccinazione avrebbe ridotto del 51 per cento l’incidenza dell’HZ  e del 66 per cento quella della NPH. Questi dati sono stati confermati in seguito da Arnold e Messaoudi26 e poi da Klein e Coll,28 affermando che l’efficacia dello "zoster vaccine" era del 65 per cento con una “moderata” efficacia per 8 anni.
Studi successivi hanno evidenziato risultati anche migliori, infatti secondo Cunningham e Coll,29 il “vaccino ricombinato” ridurrebbe la possibilità di contrarre l’HZ del 91 per cento e di contrarre la NPH dell’88 per cento e, secondo Izurieta e Coll,30 somministrato in 2 dosi a distanza di 2-6 mesi darebbe una protezione del 70 per cento per almeno 4 anni. Come effetti avversi sono segnalati reazioni cutanee nel sito di inoculazione, mialgia e affaticamento lievi e transitori. Inoltre, zoster vaccine non sarebbe controindicato nei soggetti immunodepressi e sotto questo è preferibile al vaccino con virus HZ attenuato.12
Da una recente revisione della letteratura,31 che analizza 22 studi che complessivamente includono 9.536.086 soggetti risulta che l’efficacia nella prevenzione dell’HZ sarebbe del 45% per lo “zoster vaccine” e del 79% per il “vaccino ricombinato”. In definitiva, la vaccinazione riduce significativamente l’incidenza dell’HZ e quindi della NPH.
 
Terapia dell’herpes zoster e prevenzione della nevralgia post-erpetica
Nelle situazioni meno gravi specie in soggetti giovani è sufficiente una terapia antalgica per via sistemica con FANS ed oppiacei minori come il tramadolo e il tapentadolo, negli altri casi (purtroppo limitatamente all’HZ a carico dei nervi spinali) può essere opportuna la “somministrazione peridurale continua” (tramite pompa elastomerica) di 5 mg/die di morfina per 10-15 giorni. In ogni caso, la terapia analgesica va associata al trattamento antivirale con aciclovir (cp 400-800 mg, 1cp/6 ore per 7 giorni) e nei pazienti più anziani alla prevenzione della NPH con misure imperniate, oltre che sull’eliminazione del virus con i farmaci antivirali, sul contrasto dei suoi effetti neurotossici (Tabella 2).
Circa gli antivirali, Herbort e Coll32 affermarono che alte dosi di aciclovir prevengono la NPH trigeminale a carico della I branca e che questo trattamento “segna la fine dell’era dei corticosteroidi”! Al contrario, secondo una revisione della letteratura,33 l’aciclovir e il famciclovir da soli non riducono l’incidenza della NPH, per cui occorre procedere contemporaneamente con il contrasto degli effetti neurotossici del virus che può essere ottenuto: 1) controllando il vasospasmo riflesso dei vasa nervorum e quindi il danno ischemico delle fibre nervose; 2) controllando la flogosi con un trattamento antiflogistico mirato; 3) bloccando il trasporto assonale del virus dal ganglio alla periferia e al nevrasse.

Contrasto degli effetti neurotossici del virus mediante il controllo del vasospasmo riflesso dei vasa nervorum
Il controllo del vasospasmo riflesso dei vasa nervorum serve per prevenire il danno ischemico del tessuto nervoso e può essere attuato con il blocco del simpatico (blocco del ganglio stellato, limitatamente al territorio dell’arto superiore) o, contestualmente al blocco delle afferenze, con il blocco peridurale con anestetico locale.
Secondo Colding,19 che ne fu il promotore storico, sulla base dell’esperienza su 243 pazienti affetti da HZ, il blocco del simpatico fu efficace nel prevenire la NPH se eseguito molto precocemente mentre non ebbe alcuna efficacia nella cura della NPH. L’esperienza di Colding fu confermata da Bauman,34 che trattò 38 pazienti affetti da HZ da 8 giorni a 3 mesi con il blocco del ganglio stellato (10 ml di bupivacaina 0,25% ) o il blocco peridurale (5-8 ml di bupivacaina 0,25%, quindi confidando sull'effetto di blocco simpatico). A un follow-up di 6-30 mesi, ottennero un completo controllo del dolore tutti i pazienti trattati entro le 4 settimane e nessuno di quelli trattati più tardi. Dan e Coll 35 trattarono con blocco peridurale (con mepivacaina 1%) 700 pazienti affetti da HZ e 300 da NPH e ottennero un risultato completo (prevenendo la NPH) nell’88 per cento dei 467 pazienti trattati entro le due settimane, un risultato parziale nei 96 pazienti trattati entro un mese e nessun risultato in quelli trattati più tardi, confermando le conclusioni di Colding. Tenicela e Coll36 trattarono 10 pazienti con blocco del simpatico e 10 con placebo ottenendo il pain relief nel 90 per cento dei primi e nel 20 per cento degli altri. Winnie,37 esaminato il risultato su 122 pazienti trattati con blocco del simpatico, riscontrò che nell’80 per cento di quelli trattati entro 2 mesi si era prevenuta la NPH mentre i risultati in quelli trattati più tardi erano insoddisfacenti. Particolarmente interessante è il lavoro di Winnie e Hartwell,22 dove si afferma che il blocco del simpatico è efficace nel risolvere il dolore dell’HZ e nel prevenire la NPH se è eseguito entro 2 mesi dall’esordio della malattia perchè ripristina il flusso sanguigno intraneurale prevenendo il danno ischemico delle fibre nervose: se invece il blocco è eseguito più tardi è inutile perchè il danno nervoso è ormai irreversibile.
Meno entusiasmanti sono le osservazioni di Wu e Coll.38.che sostennero che il blocco simpatico riduce la durata del dolore della fase acuta dell’HZ ma non è chiaro se previene la NPH e di Yanagida e Coll 39 che, dopo aver trattato 49 pazienti (in qualche caso addirittura prima della comparsa dell’HZ sulla base di un sospetto clinico e comunque entro i primi 10 giorni dopo l’eruzione cutanea) con blocco del ganglio stellato ripetuto quotidianamente per 4 settimane o con blocco peridurale, riscontrarono che non vi era nessun risultato per quel che riguarda la prevenzione della NPH.
Il blocco del simpatico può prevenire la NPH ripristinando il flusso sanguigno intraneurale e prevenendo il danno ischemico delle fibre nervose se eseguito precocemente (per i più ottimisti entro 2 mesi,34 ma probabilmente meglio entro 2 settimane): se il blocco è eseguito più tardi, è inutile perché il danno nervoso è irreversibile.

Contrasto degli effetti neurotossici del virus mediante il trattamento antiflogistico mirato
Il trattamento antiflogistico mirato consiste nel:
1) Blocco-infiltrazione peridurale segmentario con 2 ml di metilprednisolone (80 mg) e 5 ml di bupivacaina allo 0,5%, ripetuto dopo 2 settimane;
2) Blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser con 1 ml di metilprednisolone (40 milligrammi) e 2 ml di anestetico locale (bupivacaina 0,5%), secondo lo schema proposto da Pernak e Erdmann,40 modificato per l’aggiunta della bupivacaina.
L’efficacia dell’infiltrazione del ganglio di Gasser con metilprednisolone per la prevenzione della NPH trigeminale fu fortemente sostenuta da Pernak e Erdmann,40 che trattarono 535 pazienti affetti da HZ trigeminale iniettando 80 mg di metilprednisolone nel ganglio di Gasser. A un mese dal trattamento erano senza dolore e senza supporto analgesico il 96,5% dei pazienti trattati: vi furono solo 19/535 insuccessi (3,5%) che riguardavano pazienti trattati dopo la seconda settimana dall'insorgenza dell’HZ. Sulla base di questi risultati, Pernak e Erdmann raccomandarono di eseguire l’infiltrazione nelle prime due settimane: anche che essi non usarono l’anestetico locale, facendo affidamento soltanto sull'effetto antinfiammatorio per prevenire il danno nervoso.
Non è chiaro se Pernak e Erdmann eseguirono l’infiltrazione del ganglio di Gasser con metilprednisolone nella cisterna trigeminale o lateralmente al ganglio di Gasser. A questo proposito, alcuni anni fa scrivevo “…per eseguire nella cura del dolore da herpes zoster trigeminale e, per quel che può valere, nella profilassi della nevralgia post-herpetica un trattamento analogo a quello praticato a livello spinale con il blocco peridurale segmentarlo, a livello trigeminale non si deve raggiungere la cisterna: in questo modo si effettuerebbe una sconsigliabile somministrazione subaracnoidea di steroide. Occorre, invece, somministrare la soluzione anestetico-steroidea nello spazio extradurale anterolaterale al ganglio di Gasser…”41 con una procedura analoga (aggiungo ora) a quella impiegata nella Compressione percutanea del ganglio di Gasser. In pratica, introdotto l’ago nella guancia 1 centimetro lateralmente alla commissura labiale e appena sopra al suo piano orizzontale, lo si dirige verso il 1/3 esterno del forame ovale. Questo ingresso, molto diverso da quello necessario per raggiungere la cisterna trigeminale e la radice retrogasseriana, consente di dirigere l'ago secondo una traiettoria anterolaterale al ganglio di Gasser che ne favorisce il posizionamento extradurale. A questo punto, mentre per eseguire la Compressione percutanea del ganglio di Gasser si deve arrestare l’ago appena oltre l'ingresso nel forame ovale, nel caso della somministrazione anestetico-steroidea lo si avanza per 3-5 millimetri oltre il forame ovale.
 
Contrasto degli effetti neurotossici del virus mediante il blocco del trasporto assonale del virus (un argomento controverso)
La prima segnalazione sull’impiego del blocco peridurale per prevenire la NPH è quella di Perkins e Hanlon42 che, trattati 12 pazienti affetti da HZ con bupivacaina e metilprednisolone per via peridurale, riscontrarono che il trattamento era stato efficace se attuato entro le 7 settimane e non oltre i 3 mesi e, a sottolineare il ruolo chiave dell’anestetico locale, rimarcarono che l’aggiunta del metilprednisolone non aggiungeva nulla al risultato.
Molto espliciti a questo riguardo sono gli studi di Follini6 e Follini e Leccabue 43 che trattarono con un singolo blocco peridurale selettivo, raramente ripetuto (associando all’anestetico locale un preparato steroideo deposito) 96 pazienti affetti da HZ e riscontrarono un’incidenza di NPH del 3,8% nei pazienti trattati entro le prime 2 settimane e, rispettivamente del 13 e del 33,3% in quelli trattati nella terza e nella quarta settimana. A conclusioni analoghe giunsero nel 1999 Hwang e Coll.44. Un contributo molto interessante e significativo è dato dal lavoro di Pasqualucci e Coll,45 i quali riscontrarono che dopo un anno avevano ancora dolore 51/230 pazienti (22,2%) trattati con acyclovir e steroidi per via venosa e 4/255 (1,6%) pazienti trattati con blocco peridurale anestetico-steroideo, concludendo che questa procedura è più efficace della somministrazione endovenosa di acyclovir e prednisolone. Un’ulteriore conferma è data dal lavoro di Kumar et al46 che, analizzando 21 studi sull’argomento, conclusero che v’era evidenza di grado A sul fatto che, eseguito entro 2 mesi dall’esordio dello zoster, il blocco peridurale con anestetici locali e steroidi riduce l’incidenza della NPH dopo un anno.
 
Poco entusiasmanti a questo riguardo sono invece i risultati di uno studio multicentrico denominato PINE che è l’abbreviazione di Prevention by epidural Injection of postherpetic neuralgia in the Elderly.47-50 Lo studio include 598 pazienti con HZ da meno di 7 giorni trattati con antivirali, analgesici ed una singola somministrazione peridurale di 80 mg di metilprednisolone e 10 mg di bupivacaina o, come controllo, con soli antivirali e analgesici: a 1 mese dal trattamento avevano dolore il 48% di quelli trattati con la peridurale ed il 58% di quelli del gruppo di controllo, a 3 mesi avevano dolore il 21% dei quelli trattati con la peridurale e il 24% di quelli del gruppo di controllo e a 6 mesi il 15% di quelli trattati con la peridurale e il 17% di quelli del gruppo di controllo. Ovviamente, gli Autori conclusero che il trattamento peridurale non è efficace nella prevenzione della NPH. Però, va osservato che gli Autori somministrarono assieme a 80 mg di metilprednisolone (2 ml) 10 mg di bupivacaina, vale a dire 2 ml: è possibile che il dosaggio di bupivacaina fosse insufficiente ad ottenere il blocco del trasporto assonale e che quindi l’unico effetto prevedibile fosse quello del metilprednisolone. In seguito, il ruolo del blocco peridurale nella prevenzione della NPH fu negato da Loeser 51 e riconfermato da Kim e Coll.52
Infine, ricordiamo che in recenti linee guida 53 è raccomandato il blocco peridurale con anestetico locale e steroidi soprattutto nelle prime 3 settimane dall'esordio dell’HZ per prevenire la NPH e che tra gli studi recenti a sostegno di questa procedura figura anche quello di  Beydoun e Coll.3
Per comprendere il razionale del blocco del trasporto assonale dobbiamo pensare che la diffusione del virus dal ganglio verso la cute e verso il nevrasse prosegua nelle due direzioni per parecchi giorni. E’ ovvio che quando si ha l’eruzione cutanea perché una sufficiente quantità di particelle virali ha raggiunto la cute viaggiando lungo il neurite, una certa quantità di quelle particelle ha già raggiunto anche il nevrasse: quindi il blocco del trasporto assonale dovrebbe servire a impedire che altre di particelle virali raggiungano il nevrasse o la periferia in aggiunta a quelle che vi sono già arrivate ed è per questo che l’infiltrazione ha significato solo nei primi giorni dopo la comparsa dell’eruzione erpetica. In teoria, il blocco peridurale o del ganglio di Gasser andrebbero eseguiti ancora prima della comparsa dell’eruzione cutanea ma questo è impossibile perché la diagnosi non è ancora stata fatta. Però, se si aspetta troppo, il virus ha ormai raggiungo il nevrasse e le diramazioni periferiche in quantità tali da essere inutile il blocco del trasporto assonale: quindi, con questi obiettivi in mente, si deve concludere che queste procedure vadano eseguite il prima possibile, anche solo nel sospetto di HZ e che ogni giorno di attesa sia tempo concesso alla migrazione virale.
Non c’è dubbio che questo metodo di prevenzione della NPH sembri molto interessante ma v’è un’argomentazione che lo mette in dubbio: se veramente l’anestetico locale blocca il trasporto assonale del virus per molti giorni, potrebbe contemporaneamente bloccare anche il trasporto dei fattori trofici prodotti nel pirenoforo che mantengono il trofismo cellulare e quindi potrebbe causare la degenerazione della fibra nervosa! In realtà, sappiamo che l’anestetico locale non ha effetti neurotossici.
Non trovando una risposta nella letteratura e senza risolvere il dubbio, ho considerato l’osservazione che la etidocaina ha la stessa potenza della tetracaina come bloccante della conduzione assonale ma 5 volte meno potente come bloccante del trasporto assonale e che la mepivacaina, la bupivacaina e la lidocaina sono ugualmente attive nel produrre il blocco della conduzione assonale e del trasporto assonale.54 Inoltre, alla ricerca del meccanismo con cui gli anestetici bloccano il trasporto assonale rapido, Lavoie e Coll 55,56 affermarono che concentrazioni di 14-20 mM di lidocaina non producono la distruzione dei microtubuli.
In questa incertezza sul meccanismo di azione, si tenga presente che nella pratica del blocco-infiltrazione peridurale o del ganglio di Gasser per la cura dell’HZ e la prevenzione della NPH non è mai stato usato solo l’anestetico locale ma sempre l’associazione anestetico locale e steroidi 3,6,44,46,47,53 e da Pernak e Erdmann40 addirittura solo lo steroide. In definitiva, sembra una buona norma quella di associare in ogni caso lo steroide all’anestetico locale confidando sull’effetto antiflogistico ed “eventualmente” su quello del blocco del trasporto assonale.

Terapia della nevralgia post-erpetica
Come scrivevo a proposito della CRPS-I 41quanto meno si conosce di una patologia, tanto più aumentano le proposte terapeutiche. Nella Nevralgia del trigemino, le opzioni terapeutiche (per lo meno quelle corrette) sono poche perché patogeneticamente efficaci”: qui, invece, sono un numero enorme perché patogeneticamente poco correlate e spesso poco efficaci, senza contare lo spazio che questa approssimazione terapeutica lascia ai maghi e ai guaritori. Ancora oggi, a livello popolare è diffusa l’abitudine di affidarsi alla “segnatura” che consiste nel tracciare segni di croce sulla parte interessata “con la mano destra bagnata di acqua benedetta” o nell’applicarvi crocifissi…meglio se d'argento.
Lasciando da parte la medicina popolare, secondo Aggarwal e Coll 57 la scelta terapeutica dipende dalla zona coinvolta e può comprendere il blocco o la neurolisi dei nervi intercostali, il blocco del ganglio stellato, la neurolisi paravertebrale, l’iniezione di steroidi per via peridurale, l’ablazione a radiofrequenza del ganglio della radice dorsale e se tutto fallisce la SCS…ma…”in mani esperte”. In molti studi si consigliano genericamente e acriticamente il gabapentin, il pregabalin, la carbamazepina, l’amitriptilina, la norpriptilina, la doxepina, il tramadolo, il pach di lidocaina 5%, la capsaicina, il tramadolo e…altri oppiacei. 58-64 Secondo un delirante studio di cui sconsiglio la lettura, sembra che, se impiegati singolarmente, la tossina botulinica sottocute e il trattamento a RF pulsata siano i trattamenti più efficaci per la cura della NPH e che, come terapie combinate, la più efficace sia il trattamento a RF pulsata associato al blocco nervoso e, a seguire, l’infiltrazione sottocutanea di lidocaina associata al blocco nervoso e all’ozonoterapia.65
Non mancano i suggerimenti dedotti dalle revisioni della letteratura come quella di Lin e Coll.66.che in base all’analisi di una serie studi randomizzati e controllati dedussero tre confusamente omnicomprensive linee di trattamento in sequenza: 1) antidepressivi triciclici, pregabalin, gabapentin e cerotti di lidocaina; 2) tramadolo e capsaicina; 3) TENS, tossina botulinica, cobalamina, iniezioni di triamcinolone, metilprednisolone intratecale, midazolam intratecale, blocco del ganglio stellato, elettrostimolazione gangliare, distruzione del ganglio della radice dorsale, trattamento a RF pulsata.
Particolarmente interessante è la recente linea guida elaborata da Gross e Coll. 53 che pur non illustrando i meccanismi patogenetici della NPH, affronta molti aspetti clinici riguardati le diverse complicanze dell’infezione herpetica: la gravissima disseminazione sistemica del virus, la meningoencefalite, le complicanze oculari dell’interessamento trigeminale della I branca vale a dire la congiuntivite, la cheratite, l’uveite fino alla paralisi dell’oculomotore. In queste linee guida è caldamente raccomandata la diffusione della vaccinazione con vaccino ricombinato somministrato in 2 dosi a distanza di 2 mesi che darebbe una protezione nei confronti dell’infezione herpetica nel 90% dei casi addirittura per 9 anni. Per quanto riguarda i suggerimenti terapeutici, nella fase acuta dell’HZ si raccomanda la somministrazione degli antivirali (acyclovir per os o per via venosa per 10-14 giorni) e di analgesici per via sistemica (purtroppo) seguendo la scala terapeutica della OMS con l’aggiunta di antiepilettici (gabapentin e pregabalin) e antidepressivi (specie amitriptilina) “per combattere la componente neuropatica del dolore”. Se in queste linee guida la terapia proposta per l’HZ è piuttosto deludente, più interessanti sono i consigli a proposito della cura della NPH. In particolare, si afferma che i patches di lidocaina 5% non sono un trattamento di prima scelta mentre è fortemente raccomandato il blocco peridurale con anestetico locale e steroidi soprattutto nelle prime 3 settimane dall’esordio dell’HZ per prevenire la NPH.
 
Il problema è che tutti questi suggerimenti si basano sul presupposto che la NPH sia un’unica entità: quindi non sono diretti a contrastare ciascuno un determinato meccanismo patogenetico e la loro efficacia è “stranamente” variabile. Inoltre, si tenga presente che molti trattamenti possono sembrare efficaci perchè spesso la NPH guarisce spontaneamente. Tra le poche segnalazioni sull’opportunità di differenziare varie categorie di NPH vi sono le osservazioni di Fields, Rowbotham e Baron 67 che sostenevano che la NPH poteva essere dovuta all’anormale sensibilizzazione delle fibre C (NPH da ipereccitabilità dei nocicettori), al danno delle fibre C (NPH da neuropatia assonale) o alla deafferentazione (NPH da deafferentazione) e più recentemente figura l’interessante approccio proposto da Forstenpointner e Coll.68 che, osservando che i pazienti affetti da NPH possono presentarsi con segni e sintomi differenti, suggerirono l’opportunità di una migliore “identificazione del fenotipo sensoriale” dei pazienti per decidere una terapia mirata.
Infine, per sottolineare quanto può essere fuorviante l’informazione che il pubblico ricava dalla “navigazione” in Internet, si legge che “…il virus del Fuoco di Sant’Antonio può essere limitato nelle sue manifestazioni grazie al vaccino che deve essere somministrato entro 72 ore dall'insorgenza dei sintomi (il rush cutaneo). In tal modo si può alleviare sia la gravità che la durata delle complicazioni, quale può essere la nevralgia post-erpetica…che dev’essere curata con l’agopuntura”.

Infiltrazione sottocutanea di anestetici locali e sterodi, cerotti medicati e capsaicina
Le prime segnalazioni su questi trattamenti sono quelle di Epstein,69 che sostenne l’efficacia dell’infiltrazione intradermica con triamcinolone per la cura della NPH e quella di Riopelle e Cool,70 dove si precisava che l’infiltrazione di anestetici locali controlla il dolore dell’HZ in fase acuta ma non previene la NPH. Premesso che Jaipur è una città dell’India, nel 1998 fu proposta l’infiltrazione sottocutanea di una soluzione contenente xilocaina 2%, bupivacaina 0,5% e desametasone, denominata “Jaipur block”. La soluzione fu in seguito modificata sostituendo il desametasone con metilprednisolone. Nell'esperienza di Bhargava e Coll,71 furono trattati 3960 pazienti con NPH presente da 2 mesi a 5 anni. Il 96 per cento dei pazienti ottenne il completo controllo del dolore (28% dopo la prima somministrazione, il 57 per cento dopo la seconda e l’11 per cento dopo la terza): soltanto il 4% dei pazienti non rispose al trattamento. Nell’esperienza di Puri,72 furono trattati 30 pazienti con NPH. Il 90 per cento dei pazienti ottenne il completo controllo del dolore (20% dopo la prima somministrazione, 60% dopo la seconda e 10 per cento dopo la terza): solo il restante 10% dei pazienti (con NPH da più di 2 anni) non rispose al trattamento. Nell’esperienza di Sharma e Coll,73 furono trattati 52 pazienti con NPH da 12 mesi: in 50/52 pazienti (96%) si ebbe una riduzione della VAS da 8 a 2 ottenendo un risultato soddisfacente e soltanto in 2/52 (4%) non si ebbe risultato.
Nguyen e Coll 74 sostengono che l’iniezione sottocutanea di metilprednisolone e lidocaina ripetuta quotidianamente per 10 giorni può essere efficace della NPH. In questo caso, si può pensare che sia pure per via sistemica il metilprednisolone risolva la flogosi come affermano Kotani e Coll,75 riferendosi alla somministrazione intratecale. Va ancora ricordata l’osservazione di Mashhood,18 circa il fatto che l’infiltrazione di lidocaina e triamcinolone è più efficace della sola infiltrazione di lidocaina nel trattamento della NPH. In sostituzione dell’infiltrazione sottocutanea di anestetico locale, Ngo e Coll.5 raccomandavano lo spray di bupivacaina e contemporaneamente divenne molto popolare l’applicazione di cerotti medicati. Liu e Coll 76 raccomandano l’impiego dei farmaci topici (patch di lidocaina) e a oggi, quello più impiegato è il lidocaine patch 5% che secondo Bianchi e Coll 77 produrrebbe una risposta completa al trattamento nel 63% dei casi di HZ e nel 21% dei casi di NPH e se impiegato precocemente sarebbe in grado di prevenire la NPH. Überall e Coll78 segnalarono che in pazienti con NPH da più di un anno, il trattamento per sei mesi con “Lidocaina 700 mg medical plaster” aveva prodotto una significativa riduzione del dolore e in un altro studio ancora più recente 79 si afferma che (basato sull’ipotesi dei “pacemaker ectopici”)23 esso rappresenta addirittura “una nuova svolta nella terapia della NPH”: ulteriori conferme sull’efficacia di questo presidio provengono da Giaccari e Coll.80 Infine, raccomandato da Yong e Coll,81 il trattamento con capsaicina 8% sarebbe stato efficace “in una NPH trigeminale della I branca” iniziata da 2 mesi.10
Il razionale terapeutico della somministrazione sottocutanea di steroidi consiste nell'attuare un trattamento antinfiammatorio per via sistemica. Per la somministrazione sottocutanea della lidocaina il razionale terapeutico è di silenziare temporaneamente i nocicettori ipereccitabili (considerati sede di  “pacemaker ectopici” nella NPH da ipereccitabilità dei nocicettori) e con la somministrazione transdermica quello di silenziarli il più a lungo possibile; in un caso e nell’altro per ridurre l’ipereccitabilità centrale. Da ultimo, anche la capsaicina (come la lidocaina e i cerotti medicati) potrebbe determinare una sorta di silenziamento prolungato dei nocicettori nella NPH da ipereccitabilità dei nocicettori.

Metilprednisolone intratecale
Da considerare con attenzione è lo studio di Kotani e Coll,75 ripresentato un anno dopo da Kirchner,82 dove in 270 pazienti affetti da NPH da almeno un anno fu segnalato un risultato eccellente-buono nel 90% di 89 pazienti che ricevettero quattro volte a distanza di una settimana la somministrazione intratecale di 60 mg di metilpredinosolone e 3 ml lidocaina al 3% iniettati a livello L2/L3 (sfruttando il trendelenburg per spingere più in alto la soluzione iniettata quando necessario), nel 15 per cento di 91 pazienti che ricevettero la somministrazione soltanto di lidocaina e nel 5% dei 90 pazienti del gruppo di controllo.
Piuttosto sconcertante e, a mio parere, anche un po' “patetico” è uno studio83 che includeva un piccolo gruppo di 10 pazienti e che ripeteva il protocollo di Kotani e Coll,75 confrontando la somministrazione ripetuta 4 volte a distanza di 7 giorni di 60 mg di metilprednisolone acetato e lidocaina intratecale con la sola somministrazione di lidocaina. Da questo studio risultò che i 6 pazienti che ricevettero il trattamento con metilprednisolone ebbero un aumento del dolore a 8 settimane!  
E’ interessante ricordare che Kotani e Coll75 misurarono la concentrazione dell’interleuchina-8 nel liquor, riscontrando che essa era marcatamente aumentata nei pazienti con NPH, che l’aumento era inversamente proporzionale alla durata della NPH e che la concentrazione si riduceva parallelamente alla riduzione del dolore dopo la somministrazione del metilprednisolone intratecale. Gli Autori osservarono inoltre che il metilprednisolone intratecale era stato inefficace in 7 pazienti con NPH da oltre 5 anni perché era improbabile che uno stato infiammatorio importante fosse ancora presente dopo un periodo così lungo e che quindi non fosse più in causa il processo flogistico ma un danno nervoso non modificabile dal trattamento.
In definitiva, la somministrazione intratecale di metilprednisolone può essere efficace finché è presente la flogosi. Quindi, l’indicazione riguarda solo la NPH del I e del II tipo.

Blocco-infiltrazione peridurale e blocco-infiltrazione del ganglio di gasser
Considerato che l’impiego intratecale del metilprednisolone in preparazione a lento rilascio non è raccomandata per il rischio di aracnoidite (segnalato comunque in casi eccezionali), forse lo stesso risultato si può ottenere con la somministrazione peridurale.
Come abbiamo visto, l’infiltrazione peridurale di steroidi è stata ampiamente considerata per la prevenzione della NPH ma solo saltuariamente (e in riferimento a casistiche numericamente limitate quando non si tratta di case reports) come procedura per curare la NPH e per quanto riguarda il blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser, l’unico riferimento è quello Pernak e Erdmann,40 che riguarda la prevenzione e non la terapia della NPH.
Nell'esperienza di Shaker e Coll,84 in una NPH a carico di C5 presente da 2 settimane (che forse era ancora HZ), l’infiltrazione di steroidi per via transforaminale risolse la sintomatologia dolorosa (in questo caso, però, più che di trattamento forse si è trattato di prevenzione della NPH). Nell'esperienza di Mehta e Coll, 85 un paziente con NPH a carico di T10 guarì con un’infiltrazione dei steroidi per via transforaminale. Nell'esperienza di Dinh e Coll,86 un paziente con NPH toracica guarì dopo 3 infiltrazioni steroidee per via transforaminale. Valutando il risultato della somministrazione di steroidi per via peridurale in 42 pazienti affetti da HZ, Ghanavatian e Coll 87 riscontrarono che avevano un buon risultato quelli con una NPH da meno di 11 mesi e non quelli che l’avevano da più tempo. Nell’esperienza di Beydoun e Coll,3 con l’infiltrazione peridurale di steroidi e anestetici locali eseguita da 1 a 3 voltre, in 20 pazienti (14 pazienti con dolore da <3 mesi e 6 con NPH cioè con dolore da >3 mesi), vi fu a 6 mesi dal trattamento una riduzione della VAS da 8,3 a 1,8 nei pazienti del primo gruppo e da 7.8 a 4.3 in quelli del secondo.
Avvalorando la tesi della patogenesi infiammatoria della NPH, in uno studio 88 vennero inclusi 44 pazienti presumibilmente oltre la fase acuta dell’HZ con sintomi da 30 a 180 giorni e quindi verosimilmente con NPH in una fase ancora soggetta a remissione, 21 pazienti (Gruppo A) furono sottoposti a un unico blocco peridurale con 5 mg di desametazone e 21 pazienti (Gruppo B) previo impianto di catetere peridurale lasciato in sede per 10 giorni furono sottoposti a 3 boli di 5 mg di desametazone (il 1°, il 5° e il 10° giorno) assieme all’infusione continua di Ropivacaina durante tutto il periodo.  Vi fu completa remissione del dolore nel 28% dei casi nel Gruppo A e nell'80 per cento nel Gruppo B.
Riferendoci allo stesso presupposto patogenetico, forse si può ottenere lo stesso risultato che si ottiene con il metilpredisolone intratecale scegliendo la via peridurale steroidi ma di questo parere non erano Kikuchi e Coll, 88 avendo riscontrato un risultato nettamente superiore nei pazienti trattati per via intratecale con il protocollo di Kotani et al.75
In ogni caso, considerata la possibile persistenza della flogosi (forse solo nelle NPH del I e del II tipo), conviene in ogni caso eseguire il trattamento antiflogistico mirato con la peridurale segmentaria o l’infiltrazione del ganglio di Gasser nei primi 6 mesi dall'esordio della malattia: nei primi 15 giorni per prevenire la NPH sfruttando il blocco del simpatico, il trattamento antiflogistico mirato e (forse) il blocco del trasporto assonale del virus e dopo per curarla eliminando la quota flogistica che potrebbe ancora essere presente.
 
Protocollo terapeutico (uguale a quello proposto per la cura-prevenzione della NPH)
Blocco-infiltrazione peridurale segmentaria con 2 ml di metilprednisolone (80 mg) e 5 ml di bupivacaina allo 0,5% per “bagnare” la radice bersaglio e quelle immediatamente sopra e sottostanti, ripetuto dopo 2 settimane.
Blocco-infiltrazione del ganglio di Gasser con 1 millilitro di metilpredndisolone (40 milligrammi) e 2 millilitri di anestetico locale (bupivacaina 0,5%), secondo lo schema proposto da Pernak e Erdmann,40 modificato per l’aggiunta della buivacaina.
 
Trattamento a radiofrequenza pulsata (RFP) del GRD e del ganglio di Gasser
NPH a carico dei nervi spinali
Uno studio 17 riferisce i risultati del trattamento a RF pulsata del GRD in un gruppo di 29 pazienti affetti da HZ-NPH da 3 mesi e in un altro gruppo di 29 pazienti con NPH da 3-6 mesi: nel primo gruppo si ebbe un buon risultato in una maggior percentuale di soggetti (…forse perchè avendo il dolore da meno di 3 mesi avevano più probabilità di guarigione spontanea).
Secondo una osservazione, il trattamento a RF pulsata del GRD associato a gabapentin sarebbe più efficace del solo gabapentin,89 perchè aumenterebbe l’immunità T-cell mediata e “inibirebbe la risposta infiammatoria”. Trattati 25 pazienti con NPH dell’arto superiore Ding e Coll,90 riscontrarono una riduzione media della VAS da 7.5 a 2.5-3 che si instaurava in un mese ed era ancora presente a un anno. Per sottolineare l’efficacia del trattamento a RF pulsate sul GRD o sul nervo intercostale in pazienti affetti da NPH, Huang 91 afferma genericamente che e a 3 mesi dal trattamento la VAS era “significativamente migliorata”. Infine, l’efficacia della RFP ad alta frequenza è segnalata in uno studio recente dove si afferma che essa ridurrebbe il numero dei canali del sodio Nav1.7 nel GRD.92
NPH trigeminali
Trattati 45 pazienti con NPH trigeminale Ding e Coll,93 riscontrarono una riduzione media della VAS da 6.5 a 2.5 che si instaurava progressivamente in un mese ed era ancora presente a un anno. Liu e Coll,94 sottoposero al Trattamento a RF pulsata del ganglio di Gasser 32 pazienti affetti da MPH della I branca trigeminale presente da 6 mesi a 3 anni: 30/32 pazienti ottennero una marcata riduzione del dolore (VAS 0-3) a partire dalla prima settimana e ad un follow-up di 3 mesi. Indipendentemente dal tipo di NPH che non è stato chiarito, globalmente i risultati sembrano soddisfacenti: i miglioramenti da guarigione spontanea sono poco probabili considerato che i pazienti avevano la NPH da 6 mesi a 3 anni. Li e Coll,8 affermano una riduzione del dolore da NPH trigeminale a carico della I branca a 1-3-6 mesi dalla procedura con il trattamento a RF pulsata del nervo sopraorbitario, precisando che la RF pulsata ad alto voltaggio è più efficace di quella convenzionale. La RF pulsata del ganglio di Gasser è consigliata da Wan e Coll,95 che la eseguirono in pazienti con NPH trigeminale da meno di 3 mesi definendola in “fase acuta-subacuta”: in realtà, in essi è ancora possibile la guarigione spontanea. Infine, anche se non è chiaro in base a quale criterio vengono associate le NPT trigeminali e dell’arto superiore, qualche risultato sarebbe stato ottenuto nella NPH a carico del viso e dell’arto superiore con il blocco del ganglio stellato e…con il trattamento a RF pulsata del ganglio stellato.93
La RF pulsata aumenterebbe il gene C-fos nelle cellule nervose del GRD e nel corno dorsale del midollo spinale che a sua volta aumenterebbe l’attività degli interneuroni inibitori. A conforto di questo ragionamento, fu osservato che ¼ dei neuroni spinali che esprimono il gene C-fos sono interneuroni inibitori (glicinergici, GABA-ergici,96 e dinorfinergici) il cui incremento corrisponde all’attivazione del meccanismo antinocicettivo noto come “long term depression”.97
Avanzando dubbi sulla tesi della neuromodulazione, Erdine et al,98 studiarono con la microscopia elettronica il GRD del ratto trattato con la corrente a RF pulsata e riscontrarono danni cellulari consistenti nella degenerazione dei mitocondri, nell’ampliamento delle cisterne del reticolo endoplasmatico e nella perdita della membrana nucleare, concludendo che la corrente a RF pulsata è “meno neurolesiva” della corrente a RF continua ma non è una tecnica non distruttiva. A corollario di questi riscontri, Protasoni et al,99 riscontrarono un danno nervoso limitato alle guaine mieliniche.
Sposando l’ipotesi che la RF pulsata applicata sul GRD o sul ganglio di Gasser attivi un meccanismo inibitorio, c’è da chiedersi su cosa agisce e quindi in quale tipo di NPH.
Riconsiderando il lavoro di Liu e Coll 94 sul trattamento a RF pulsata del ganglio di Gasser, notiamo che essi eseguirono l’erogazione della corrente a RF pulsata per 8 minuti programmandola per limitare a 42°C la temperatura del tessuto attorno all'elettrodo, con una impedenza di 200-300 Oms e un elettrodo con punta attiva di 2 mm quindi in una posizione ai limiti fra la cisterna trigeminale  (dove l’impedenza è 200 Oms) e il ganglio di Gasser (dove l’impedenza è 400 Oms). Tecnicamente, si dovrebbe collocare la punta attiva dell’elettrodo nella compagine del ganglio di Gasser (quindi può essere opportuno un elettrodo con punta attiva di 2 mm) ma l’impedenza dovrebbe essere decisamente sopra i 300 Oms: in pratica, la procedura consigliabile dovrebbe consistere nel raggiungere la cisterna trigeminale (verificando la fuoriuscita del liquor e un’impedenza di 200 Oms) e poi ritirare l’elettrodo fino a collocarne la punta nella compagine del ganglio, verificando la cessazione dell’aspirazione del liquor e l’aumento dell’impedenza fino a 400 Oms.
Un’altra considerazione va fatta a proposito delle osservazioni di Han e Coll,100 che condussero uno studio su 109 pazienti affetti da NPH toracica e impiegarono la RF pulsata “ad alto voltaggio” (65 V) sostenendo che ha maggiori probabilità di essere efficace…ma saltuariamente produce lieve intorpidimento della cute (parziale effetto neurolesivo?). Dello stesso parere furono Wan e Coll,95 confermando la maggiore efficacia della RF pulsata ad alto voltaggio rispetto a quella standard. D’altra parte, a sostegno della tesi della neuromodulazione, è stata sottolineata l’importanza del campo elettrico prodotto dalla corrente a RF pulsata. Sebbene anche quella continua produca un campo elettrico, quello prodotto dalla corrente a RF pulsata sarebbe “più forte” forse perché la brevità dei picchi di tensione consente l’impiego di un voltaggio più elevato.
Indicazioni del trattamento a RF pulsata del GRD e del ganglio di Gasser
Accettando l’ipotesi che la RF pulsata applicata sul GRD o sul ganglio di Gasser attivi un meccanismo inibitorio, essa è utile quando c’è un’afferenza da inibire e quindi nella NPH da ipereccitabilità dei nocicettori dove inibirebbe l’eccesso di attività nelle fibre C. Discutibile è la sua indicazione nella NPH da demielinizzazione dove dovrebbe inibirebbe le fibre Aδ e nella NPH da neuropatia assonale dove dovrebbe inibire le Aβ. Certo non può agire nella NPH da deafferentazione dove non c’è nulla inibire e neppure in quella centrale.
Quindi, il trattamento a RF pulsata del GRD e del ganglio di Gasser è indicato solo nella NPH da ipereccitabilità dei nocicettori e, producendo un risultato parziale e transitorio con alta probabilità di recidiva, è di limitata utilità ed inoltre implica la ripetizione periodica della procedura...forse nell'attesa dell’auspicata guarigione spontanea.
 
Spinal Cord Stinulation (SCS)
Il meccanismo di azione della SCS è classicamente considerato l’attivazione delle afferenze inibitorie Aβ e su queste premesse sono state messe a punto le tecniche di impianto dell’elettrocatetere. Negli ultimi anni, però, l’attenzione nei confronti della SCS si è spostata verso due importanti innovazioni tecnologiche che hanno rimesso in discussione i meccanismi di azione ed hanno dato nuove speranze: si tratta della “SCS ad alta frequenza” introdotta nel 2010 e della “Burst SCS” introdotta nel 2013.
Non vi sono molte esperienze circa l’impiego della SCS nel trattamento della NPH. In quella di Meglio e Coll,101 10 pazienti furono sottoposti all'impianto provvisorio per testare l’efficacia della SCS: 6/10 ebbero una riduzione >50% dell’intensità del dolore e furono sottoposti all'impianto definitivo con un risultato positivo che si protrasse ad un follow-up di 15-46 mesi e in quella di Baek e Coll,102 11 pazienti furono sottoposti al test ma solo 4 furono poi sottoposti all’impianto definitivo con un risultato antalgico favorevole (VAS inferiore a 3) che si protrasse durante un follow-up di 2 anni.
L’efficacia della SCS fu sostenuta da Iseki et al,103 e da Moriyama 104 e in una recente revisione della letteratura 105 che include 243 pazienti risulta che ha prodotto una riduzione media della VAS da 7.6 a 2.7 a un follow up 18 mesi. Recentemente, Liu 94 raccomandò la short-term spinal cord electrical stimulation e altri sostennero l’efficacia della SCS e dell'elettrostimolazione del nervo spinale.106
Oltre 40 anni fa, Larson et al 107,108 rimisero in discussione il meccanismo d’azione della SCS incentrato sull'attivazione delle grandi afferenze mieliniche, segnalando l'efficacia dell'elettrostimolazione della metà anteriore del midollo e ipotizzarono che responsabile del pain relief da SCS non fosse l’attivazione dei cordoni posteriori ma il blocco di conduzione delle vie spinotalamiche. Sulla stessa linea di pensiero, impiantati elettrodi nello spazio subaracnoideo a livello C1-C2, Hoppenstein 109,110 ottenne pain relief con una corrente di intensità 30 volte inferiore quando gli elettrodi erano collocati di fronte al fascio spinotalamico laterale rispetto a quando erano collocati posteriormente ed osservò che nel primo caso il pain relief era controlaterale alla sede stimolata. A conferma di queste osservazioni, si noti che spesso durante la cordotomia il paziente riferisce la temporanea scomparsa del dolore controlaterale ancora prima della lesione quando l'elettrodo è penetrato nel fascio spinotalamico laterale e si esegue l’elettrostimolazione sensitiva. In quegli stessi anni, Campbell e Taub 111 e Ignelzi e Nyquist 112 formalizzarono l’ipotesi in base alla quale la neurostimolazione, anziché “aggiungere impulsi al nervo”, vi “ridurrebbe il numero di impulsi”, determinando un “blocco di conduzione”. A sua volta, il blocco di conduzione sarebbe dovuto all'accumulo di ioni K attorno all'assone ed alla conseguente riduzione della conduttanza dei canali del Na. In pratica, la corrente che stimola il nervo entrerebbe in collisione con lo stimolo elettrico che percorre ortodromicamente le fibre nervose, bloccandolo (teoria della corrente di collisione).113,114
Se si accetta l’ipotesi del blocco di conduzione, è ovvio che il target da stimolare si sposta dalle grandi afferenze mieliniche alle piccole fibre Ad e C e cambiano la tecnica di impianto ed i parametri di stimolazione. In realtà, il blocco di conduzione non riguarda le fibre ascendenti del lemnisco spinale che sono alquanto distanti dalla sede dove è collocato l’elettrodo, con l’interposizione del fascio piramidale: le fibre del SAM, invece, sono relativamente vicine all'elettrodo ed è probabile che siano quelle coinvolte dalla SCS ad alta frequenza e dalla “Burst SCS” (Figura 5). Considerato che è il sistema ascendente multisinaptico (SAM) ad essere responsabile della conduzione del PTA che origina dal secondo neurone nel dolore neuropatico, questo meccanismo spiegherebbe l’effetto della HT-SCS e della Burst-SCS sul dolore neuropatico e spiegherebbe anche perché la “classica” SCS non era altrettanto efficace.
Indicazioni della SCS nella NPH
Riconsiderando gli esigui dati della letteratura, risulta che alcuni pazienti risposero favorevolmente alla SCS ed alti no: verosimilmente il risultato positivo o negativo dipendeva dal tipo (di cui non è fatta menzione) di NPH. In conclusione, la SCS potrebbe essere indicata nella NPH da neuropatia assonale e nella NPH da demielinizzazione, è inutile in quella centrale che non dipende dal SAM e superflua in quella da ipereccitabilità dei nocicettori. Per quanto riguarda l’utilità della SCS nella NPH da deafferentazione, se realmente essa agisce sul SAM non si può escludere una sua efficacia (Figura 6).
 
DREZ-lesion
La Dorsal Root Entry Zone lesion (DREZ-lesion) è la termolesione a radiofrequenza delle prime 5-6 lamine di Rexed che costituiscono la dorsal root entry zone (DREZ) e contengono i secondi neuroni da cui originano le vie nocicettive centrali. L’operazione è eseguita con tecnica a cielo aperto e con il supporto del microscopio operatorio (Figura 7).
I risultati ottenuti da Friedman, Nashold e Ovelmen-Levitt,115 nella cura della NPH sono incoraggianti: su 12 pazienti trattati, 6 ottennero un completo e persistente pain relief e da una più recente revisione della letteratura 116 che include 84 pazienti con NPH presente con una media di 3,6 anni, risulta che la DREZ lesion ha prodotto una riduzione media della VAS da 8.7 a 3.7 a un follow up di 10 anni. La DREZ-lesion 117-120 esplica il suo effetto antalgico con la distruzione dei pain generating mechanisms 121 nel corno dorsale del midollo e in particolare delle cellule di origine delle vie paleospinotalamiche. Sembra infatti che l’attività elettrica alla base del dolore neuropatico sia condotta da afferenze centrali diverse da quelle che conducono la normale nocicezione del dolore tessutale, vale a dire dal SAM anziché dalle vie lemniscali. Questa differenza dipenderebbe dal fatto che le cellule di origine del SAM sono tonicamente inibite dalle afferenze nocicettive e quando queste diminuiscono come avviene nel dolore neuropatico aumenta la loro attività.121
Indicazioni della DREZ-lesion
Limitatamente alle NPH a carico dei nervi spinali, la DREZ-lesion potrebbe essere indicata nella NPH da deafferentazione e nella NPH da neuropatia assonale-demielinizzazione mentre è inutile in quella centrale che non dipende dal SAM e superflua in quella da ipereccitabilità dei nocicettori.
 
Nucleotomia trigeminale
La nucleotomia trigeminale è la lesione della zona giunzionale fra il primo e il secondo neurone trigeminale nel subnucleo caudale. Questa struttura, chiamata “medullary dorsal horn”,122 è la prosecuzione craniale del corno dorsale del midollo spinale ed è anatomofunzionalmente l’omologo della DREZ spinale. Deriva da questo che la nucleotomia trigeminale è l’omologo della DREZ-lesion spinale e come tale, è stata proposta per curare i “dolori facciali da deafferentazione”.123-124 La nucleotomia trigeminale può essere eseguita con la tecnica posteriore stereotassica, con la tecnica percutanea per via posterolaterale o con la “tecnica percutanea per via laterale” che io ho messo a punto e che, per quel che mi risulta, solo io ho eseguito.125 Purtroppo, dato che il subnucleo caudale non è un fascio di fibre ma un agglomerato di cellule, esso può essere distrutto solo da una lesione sufficientemente estesa longitudinalmente da comprenderne la maggior parte. Questo comporta una serie di lesioni con riposizionamento dell’elettrodo lungo il piano longitudinale e la lesione è dolorosa perché la punta dell’elettrodo diretto così obliquamente è in una posizione sottopiale. Questa tecnica meriterebbe di essere perfezionata ma nell'epoca della premiata mediocrità certo si preferisce affidarsi ai “cerotti medicati”...

Terapia farmacologica per via subaracnoidea
Previo impianto di catetere intratecale collegato a pompa infusionale, si somministrano midazolam e oppiacei. Secondo una revisione della letteratura,106 i pazienti cui era stato somministrato il midazolam ebbero una riduzione del dolore >50% e quelli cui erano stati somministrati oppiacei una riduzione del dolore del 41%.: nella metà dei casi il trattamento fu sospeso per effetti collaterali e perdita di efficacia. Recentemente è stata proposta la somministrazione di morfina o idromorfone per via peridurale previo posizionamento di catetere collocato con la punta in corrispondenza del metamero interessato dalla NPH alla velocità di 1ml/h per 72 ore 126 e  (se si è disposti a crederlo) è stato sostenuto che l’effetto antalgico si protraeva per due settimane dopo il trattamento.
 
Razionalizzazione della terapia della NPH
Ricordando che nella NPH si ha l’associazione di più tipi patogenetici, occorre individuarli e riconoscere quello predominante. Premesso questo, dal punto di vista della terapia, un suggerimento che vale per tutti i tipi di NPH iniziata da non più di 6 mesi (confidando che possa essere ancora in atto un processo infiammatorio patogeneticamente rilevante), è quello di procedere con il Blocco-infiltrazione peridurale o del ganglio di Gasser ripetuto dopo 2 settimane per impedire l’aggravarsi del danno nervoso.
Per importanti differenze procedurali, conviene considerare separatamente la terapia della NPH a carico dei nervi spinali e quella a carico del trigemino.
 
Terapia della NPH da persistente ipereccitabilità dei nocicettori
In questo tipo di NPH, spesso destinata a rapida guarigione possono essere sufficienti l’infiltrazione sottocutanea di anestetici locali e steroidi, i cerotti medicati, la capsaicina, i FANS e gli oppiacei minori (tramadolo e tapentadolo). Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si può considerare il Trattamento a radiofrequenza pulsata (RFP) del GRD o del ganglio di Gasser per inibire l’eccesso di attività nelle fibre C eventualmente ripetuto periodicamente se, come è prevedibile, il risultato è temporaneo.
 
Terapia della NPH da neuropatia assonale
Nella NPH da neuropatia assonale è efficace l’amitriptilina (75 mg/die) impiegata per sfruttare il suo effetto di potenziamento della via discendente inibitoria serotoninergica del FDL e, in alternativa, la duloxetina (60 mg/die). Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si può prendere in considerazione la HT-SCS  o la Burst-SCS per la loro azione di blocco della conduzione nel SAM che è coinvolto nella conduzione del PTA che origina dal secondo neurone nel dolore neuropatico. Nel caso della NPH da neuropatia assonale a carico del trigemino non si dispone purtroppo di risorse analoghe e non restano che gli estremi rimedi considerati per i casi disperati.

Terapia della NPH da demielinizzazione
Nella NPH da demielinizzazione sono efficaci la carbamazepina, l’oxacarbazepina o la lamotrigina. Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si può prendere in considerazione la HT-SCS  o la Burst-SCS per la loro azione di blocco della conduzione nel SAM che è coinvolto nella conduzione del PTA che origina dal secondo neurone nel dolore neuropatico e nel caso della NPH da demielinizzazione  a carico del trigemino la termorizotomia trigeminale a RF con l’obiettivo di produrre una lesione a carico delle fibre Aδ come si fa per trattare la Nevralgia del trigemino nella sclerosi multipla.

Terapia della NPH da deafferentazione
NPH a carico dei nervi spinali
Nella NPH da deafferentazione, con l’obiettivo di bloccare i canali del calcio nel secondo neurone per limitarne l’attivazione spontanea possono essere utili gabapentin ad alte dosi (1600 mg/die) e/o baclofene 75 mg/die (anche in associazione). Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si potrà sperare soltanto su: 1) la DREZ-lesion; 2) la HT-SCS o la Burst-SCS (potenzialmente efficaci se si ammette che agiscano bloccando la conduzione nel SAM che è coinvolto nella conduzione del PTA nel dolore neuropatico compreso quello da deafferentazione.
NPH a carico del trigemino
Tenendo presente che in questa sede la NPH da deafferentazione costituisce un problema gravissimo, con l’obiettivo di bloccare i canali del calcio nel secondo neurone per limitarne l’attivazione spontanea possono essere utili gabapentin ad alte dosi (1600 mg/die) e/o baclofene 75 mg/die (anche in associazione). Se questi trattamenti non sortiscono l’effetto voluto, si potrebbe considerare la nucleotomia trigeminale…se qualcuno fosse in grado di eseguirla! Al di fuori di questa procedura, non si dispone purtroppo di altre risorse e non restano che gli estremi rimedi considerati per i casi disperati.

Trattamento dei casi disperati
Nei casi realmente gravi e intrattabili in altro modo è lecito considerare soluzioni aggressive con trattamenti farmacologici diretti a indurre una sorta di dissociazione psicologica che interferisca con la produzione dell’emozione dolore: a questo scopo si dispone dei farmaci neurolettici e in casi estremi della psicochirurgia.
Tra i neurolettici, possono essere utili la flufenazina,127 l’aloperidolo128,129 e soprattutto la clorpromazina.130,131 La clorpromazina (cp 25-100 mg, da somministrare alla dose di 1/8 ore) potrebbe essere particolarmente interessante perché, secondo una segnalazione (in realtà l’unica che ho trovato) bloccherebbe i canali del sodio Nav1.7 determinando l’elevazione della soglia di percezione del dolore.132
Per quel che riguarda l’estremo rimedio della psicochirurgia, ricordiamo che essa consiste nell'interruzione delle connessioni talamo-fronto-limbiche ed è diretta alla soppressione dei meccanismi che interpretano affettivamente gli stimoli somatosensoriali, fra cui la nocicezione. Teoricamente, con gli interventi psicochirurgici si ottiene il controllo della sofferenza senza analgesia e quindi dopo queste operazioni sono ancora avvertiti e riconosciuti gli stimoli nocicettivi ma il dolore non disturba più, essendosi ottenuta un’indifferenza al dolore che un tempo, con la classica lobotomia (o leucotomia) prefrontale, comportava un severo deterioramento psicologico e intellettivo. Per fortuna, oggi, con la moderna cingulotomia tali deficit sono più sfumati e incostanti.

Conflitto di interessi
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30th June 2024
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