Ruolo patogenetico della soglia del dolore - Pathos

Vai ai contenuti

Ruolo patogenetico della soglia del dolore

Ipotetiche prospettive terapeutiche
basate sull’impiego di farmaci per elevarla

Review
Pathos 2023; 30. 4. Online 2023, Dec 27
_____________________________________________________________________________
Guido Orlandini
Medicina del dolore
Villa Ravenna (Chiavari-Ge)
Istituto SYNLAB (Monza-MB)
_____________________________________________________________________________

Riassunto
La soglia del dolore determina l’entità della percezione soggettiva del dolore e in alcuni casi addirittura la sua comparsa. Da questo deriva, sul piano teorico, l’importanza in determinate situazioni di innalzare la soglia del dolore. Purtroppo, la soglia del dolore può essere misurata soltanto molto approssimativamente e, pur sapendo che dipende almeno in parte dal numero e dalla funzionalità dei canali del sodio Nav1.7 e del nerve growth factor (NGF), non si hanno gli strumenti terapeutici per agire selettivamente su quei canali del sodio e si è dovuto rinunciare al farmaco in grado di contrastare il NGF (tanezumab) perchè il suo impiego clinico non è stato approvato. Non c’è dubbio che sarebbe alquanto pericoloso l’abuso dei farmaci in grado di elevare la soglia del dolore perché potrebbe addirittura stornare l’attenzione dalla terapia della causa del dolore o limitarne pericolosamente la funzione protettiva. Tuttavia, in mani esperte essi sarebbero utilissimi nelle patologie dove il principale meccanismo patogenetico è proprio la ridotta soglia del dolore (Emicrania, Cefalea muscolotensiva, Neuropatia trigeminale, Dolore dell’arto fantasma, Fibromialgia e molte altre), nelle situazioni dove si può ritenere che la soglia del dolore condizioni la gravità della sintomatologia, quando il dolore non è più utile ai fini diagnostici e quando è dovuto a una patologia che non può essere curata come il cancro.
Summary
The pain threshold determines the extent of pain perception, and in some cases, its manifestation. Therefore, it is important in certain situations to increase the pain threshold. Measuring the pain threshold is challenging due to its approximate nature. The threshold depends on the number and function of Nav1.7 sodium channels and nerve growth factor (NGF). Unfortunately, we lack therapeutic tools to selectively act on these sodium channels. The clinical use of Tanezumab, a drug that can counteract NGF, has not been approved. It is potentially dangerous to misuse drugs that can increase the pain threshold as it may divert attention from treating the underlying cause of pain or even dangerously limit its protective function. However, they can be particularly useful in pathologies where the main pathogenetic mechanism is a reduced pain threshold, such as Migraine, Musculotensive Headache, Trigeminal Neuropathy, Phantom Limb Pain, Fibromyalgia, and others. They are also helpful in situations where pain is no longer useful for diagnostic purposes and when it is due to an incurable condition like cancer.
Parole chiave
Dolore, soglia, canalopatia, Nav1.7, NGF, tanezumab
Key words
Pain, threshold. canalopathy, Nav1.7, NGF, tanezumab

Introduzione
La fisiopatologia del dolore insegna che vari meccanismi patogenetici attivati da diverse lesioni tessutali o nervose provocano il dolore (Figura 1). Alcune osservazioni però suggeriscono l’opportunità di aggiungere un ulteriore concetto a queste conoscenze: mi riferisco al ruolo della soglia del dolore, sia per spiegare il manifestarsi o meno del dolore in presenza della stessa lesione algogena,1-3 sia per spiegare la sua diversa intensità in pazienti con patologie apparentemente uguali e sia infine in relazione alla produzione di alcune patologie che sono sempre state ambiguamente considerate di origine sconosciuta o incerta come l’emicrania, il dolore dell’arto fantasma, il vaginismo 4 e la tanto di moda quanto inconsistente fibromialgia.
 
Definizione di “soglia del dolore”
Esaminando la letteratura sull’argomento non manca una certa confusione sulla definizione di “soglia del dolore”. Quando addirittura non viene confusa con l’iperalgesia e l’allodinia 6-13 o con la tolleranza al dolore, spesso per soglia del dolore s’intende il suo livello ottentuto a seguito della somministrazione di un analgesico,14 di un trattamento infiltrativo o chirurgico15 e altro.16-18 Per esempio, i FANS che agiscono bloccando la sintesi delle prostaglandine che a loro volta aumentano l’eccitabilità dei nocicettori elevano la soglia del dolore perché riducono l’effetto sensibilizzante delle prostaglandine sui nocicettori e quindi, oltre che controllare quello già presente, teoricamente possono limitare almeno in parte il dolore provocato da uno stimolo doloroso applicato successivamente. A maggior ragione, gli anestetici locali, che bloccando i canali del sodio impediscono l’attivazione dei nocicettori controllano il dolore ed elevano la soglia del dolore prevenendo quello provocato da uno stimolo successivo. Gli oppiacei che riducono la trasmissione sinaptica del messaggio nocicettivo tra il primo e il secondo neurone elevano la soglia del dolore perché, oltre a controllare il dolore possono prevenire o almeno limitare il dolore provocato da uno stimolo doloroso successivo. Di fatto, tutti questi trattamenti modificano innalzandola la soglia del dolore, però non è il valore così ottenuto quello che ci interessa in relazione alla produzione del dolore dovuto alle varie patologie, bensì quello per così dire “basale” in un dato individuo (quindi chiaramente “soggettivo”), correlato al particolare substrato biologico a livello molecolare e forse al grado di eccitabilità centrale. Infine, per “farmaci per elevare la soglia del dolore” dobbiamo intendere specificatamente quelli in grado di elevare quest’ultima. Sembra che queste considerazioni diano per scontato cosa sia la soglia del dolore: tuttavia, sebbene il concetto sia apparentemente intuitivo, da esse non emerge una sua chiara definizione.
 
D’altra parte, la definizione proposta dalla IASP .19 è discutibile e inutile ai nostri scopi. La IASP infatti definisce la soglia del dolore come “…la minima esperienza di dolore che un soggetto è in grado di riconoscere…” e rigetta la definizione “…la minima intensità di stimolo alla quale un soggetto percepisce il dolore…” perché si riferisce a uno stimolo e non all’esperienza soggettiva del dolore. In realtà, anche quando (in accordo con la IASP) definiamo l’allodinia come “…il dolore provocato da uno stimolo che normalmente non provoca dolore…”, ci riferiamo allo stimolo e non all’esperienza soggettiva del dolore.
La dizione “…minima esperienza di dolore che un soggetto è in grado di riconoscere…” fa riferimento solo all’esperienza soggettiva del dolore e questo aspetto che la IASP considera un pregio, è in realtà una limitazione. Al contrario, la dizione “…minima intensità di stimolo alla quale un soggetto percepisce il dolore…”, includendo un fattore (lo stimolo) che contribuisce alla produzione del dolore conferisce un’utilità clinica al concetto di soglia del dolore.
Non essendoci ragioni per dissociare lo stimolo dall’esperienza dolore che è una sua conseguenza, potremmo dire che la soglia del dolore è “l’intensità dello stimolo nocicettivo in grado di provocare dolore”. Questa definizione è ineccepibile se ci si riferisce al dolore nocicettivo ma non quando è prodotto da stimoli non nocicettivi. Il fatto che in presenza dello stesso danno nervoso alcuni soggetti esprimono il dolore neuropatico e altri no sembra intuitivamente correlabile con una diversa soglia del dolore ma in questo caso non è in gioco la nocicezione.
Quindi, rifacendoci alla definizione del dolore proposta dalla IASP19 che parla di “spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a un danno tessutale attuale o potenziale o descritta in termini di tale danno” (…o, secondo i recenti e inutili aggiornamenti, “che assomiglia a tale danno”), la definizione della soglia del dolore più corretta potrebbe essere: “l’entità del danno in grado di provocare dolore” che consente di riferirla sia al dolore nocicettivo che a quello neuropatico. Inoltre, se usiamo il termine “stimolo” ci riferiamo a qualcosa che è prodotto dal danno e che attiva i nocicettori, se invece usiamo il termine “danno” non includiamo obbligatoriamente lo stimolo dei nocicettori e quindi possiamo estendere il concetto al dolore non nocicettivo com’è quello neuropatico.
Per chiudere questo argomento che rischia di diventare monotonamente inconcludente ed esprimere una opinione personale, credo che per soglia del dolore si debba intendere “quel che determina la differente risposta soggettiva allo stesso stimolo nocicettivo o disnocicettivo”.
Infine, prevedendo l’obiezione, un caso a parte è il dolore psicogeno dove ben difficilmente si può pensare a una soglia.  
 
Ruolo patogenetico della soglia del dolore
E’ possibile che in qualche caso per poter essere realmente causa di dolore o più in generale per provocare un dolore più o meno severo, i classici meccanismi patogenetici del dolore (Figura 1) richiedano un particolare substrato biologico a livello molecolare che determina il valore della soglia del dolore, verosimilmente governata dalla funzione dei canali del sodio Nav1.7, del nerve growth factor (NGF) e forse di molti altri fattori come il coinvolgimento dei TRP-channels, l’attivazione della microglia nel corno dorsale del midollo spinale,20 l’attivazione dei Cav3.2-T-type 21 e verosimilmente altri dei quali ancora ignoriamo l’esistenza.
 
 

 
 
Figura 2 - Diverse possibili risposte allo stesso stimolo nocicettivo o alla stessa patologia in relazione alla soglia del dolore: i valori numerici sono arbitrariamente assegnati al solo scopo comunicativo. Definendo grossolanamente “soglia del dolore” quel che determina la differente risposta soggettiva allo stesso stimolo nocicettivo o disnocicettivo, possiamo immaginare che vi siano pazienti con una soglia del dolore “normale” (che avvertono il dolore in presenza di uno stimolo nocicettivo o di patologie di una certa importanza), altri che presentano una soglia del dolore aumentata (che avvertono poco dolore anche in presenza di una patologia di una certa importanza), altri che presentano una soglia del dolore eccessivamente aumentata (che avvertono pochissimo o per nulla il dolore in presenza di una patologia importante, con grave pericolo per la sopravvivenza) ed altri, infine, che presentano una soglia del dolore ridotta o molto ridotta (che avvertono dolore anche in presenza di una patologia di scarsa rilevanza o addirittura senza nessuna patologia)
 
E’ normale che il danno anatomico di una certa entità (per esempio, una frattura ossea), con lo scopo di proteggere l’organismo, attivi il segnale nocicettivo e produca un dolore più o meno intenso a seconda della gravità del danno e quindi dall’entità del messaggio nocicettivo che a sua volta dipende dalla quantità di recettori e fibre sensitive coinvolte e, a ritroso, dalla quantità di canali del sodio Nav1.7 attivati.
 
In condizioni di normalità si può quindi ipotizzare una proporzione fra l’entità della nocicezione-disnocicezione e l’intensità del dolore che corrisponde ad una “normale soglia di percezione del dolore”: però, se per la disfunzione dei canali del sodio Nav1.7 (“canalopatia”) questa soglia è alterata, in presenza di uno stimolo nocicettivo-disnocicettivo di pari gravità il dolore può essere avvertito con maggiore o minore intensità o non essere avvertito affatto. Si ha quindi che per uno stimolo nocicettivo-disnocicettivo di lieve entità alcuni individui avvertono un dolore particolarmente severo ed altri poco o nessun dolore (Figura 2).
 
La canalopatia spiega perché lo stesso danno anatomico dei nervi periferici provoca il dolore in alcuni soggetti e non in altri ed è alla base di patologie dolorose come il Dolore neuropatico da patologia delle piccole fibre, la Sindrome della bocca che brucia, la Neuropatia trigeminale dovuta ad un danno nervoso periferico (a produrre il quale basta una semplice estrazione dentale) che per lo più passa clinicamente inosservato ma in qualche caso causa una grave sintomatologia dolorosa, l’Emicrania (dove l’unico dato anatomico riscontrabile e classicamente considerato causa del dolore è una vasodilatazione intracranica del tutto innocua nella maggior parte delle persone ma fonte di dolore negli emicranici), la Cefalea muscolotensiva (dove si ha soltanto il riscontro anatomico di una prolungata contrazione dei muscoli epicranici), il Dolore dell’arto fantasma, la Fibromialgia (che non è altro che la somma di una serie di danni tessutali relativamente modesti), la Sindrome del colon irritabile (tipicamente senza una chiara base organica) e, per finire, situazioni comuni come il Dolore da malattia degenerativa sistemica dell’anziano.22
Considerare la canalopatia non significa affatto che non si debba indagare sui meccanismi patogenetici del dolore per scegliere la terapia adeguata per contrastarli 23 ma quanto la cura sarà efficace potrebbe dipendere dalla soglia del dolore per cui sarebbe opportuno agire sul meccanismo di produzione della nocicezione o della disnocicezione e al tempo stesso cercare di elevare la soglia del dolore se è particolarmente bassa.
 
 
Ruolo dei canali del sodio Nav1.7 nel dolore nocicettivo
L’importanza dei canali del sodio Nav1.7 nella produzione del dolore nocicettivo è dimostrata dall’osservazione di Kwon e Coll.24 che dimostrarono che i canali del sodio Nav1.7 aumentano a seguito della provocazione della pulpite infiammatoria.
 
Ruolo dei canali del sodio Nav1.7 nel dolore neuropatico
Il ruolo dei canali del sodio Nav1.7 nel dolore neuropatico era già stato segnalato con l’osservazione che una mutazione genetica che ne aumenta l’attività è responsabile dell’Eritromelalgia,25 dal riscontro che essi aumentano nel danno nervoso,26 contribuendo alla sua produzione e che il sulfide di idrogeno che ne aumenta l’attività aggrava il dolore neuropatico.27
 
Dolore neuropatico da persistente ipereccitabilità dei nocicettori e da danno delle piccole fibre - Estacion e Coll.28 sostennero che l’iperfunzione dei canali del sodio Nav1.7 è responsabile oltre che dell’Eritromelalgia ereditaria (caratterizzata da dolore urente avvertito alle estremità distali scatenato dal calore e alleviato dal freddo), anche della Sindrome dell’ipersensibililità rettale idiopatica e del dolore parossistico estremo e del Dolore neuropatico da danno delle piccole fibre.29
A questo proposito, gli stessi Autori segnalarono che l’aumento della funzione dei canali del sodio Nav1.7 è presente in circa il 30% dei pazienti con biopsia positiva per patologia delle piccole fibre e questo fu confermato in seguito da 30 e da 31.
 
Dolore nella CRPS-I
Quasi incomprensibile è l’osservazione che i canali del sodio Nav1.7 non sono implicati nella CRPS-I .32: quest’affermazione (che per quel che ho potuto verificare non trova conferme nella letteratura) è alquanto strana se consideriamo come primum movens della CRPS-I l’ipereccitabilità dei nocicettori che sottintende un ruolo preminente dell’iperfunzione dei canali del sodio Nav1.7.
 
Dolore neuropatico da neuropatia assonale
Nel dolore neuropatico da neuropatia assonale, i canali del sodio Nav1.7 giocano un ruolo importante nel produrre la depolarizzazione nei neonocicettori del neuroma e nel produrre la depolarizzazione del secondo neurone con l’ingresso del sodio attraverso i canali ionici della membrana post-sinaptica trasferendo ad esso il messaggio condotto dalle fibre Aβ proliferate in sostituzione delle fibre C a seguito del rimaneggiamento morfofunzionale della DREZ. D’altra parte, pensare che questi recettori non siano presenti nelle fibre mieliniche non credo sia corretto perché un loro ruolo è fondamentale nel dolore da demielinizzazione che riguarda le fibre .

Dolore neuropatico da demielinizzazione
Se consideriamo che il dolore da demielinizzazione dipende dall’incorporazione compensatoria di neoformati canali del sodio nei tratti di fibre Aβ demielinizzati e quindi dal loro incremento numerico che giustifica l’efficacia dei farmaci genericamente inibitori dei canali del sodio come gli anestetici locali, la carbamazepina e la lamotrigina, dobbiamo concludere che i canali del sodio Nav1.7 sono pesantemente implicati nella patogenesi di questo tipo di dolore neuropatico.

Dolore neuropatico da deafferentazione e dolore centrale
Il dolore da deafferentazione provocato dalla lesione nervosa prossimale al ganglio della radice dorsale è dovuto all’ipereccitabilità da denervazione del secondo neurone ed alla conseguente sua scarica epilettiforme spontanea: è difficile immaginare che in questa attivazione (depolarizzazione) spontanea non siano coinvolti i canali del sodio e lo stesso vale per il dolore centrale.   
 
Misurazione della soglia del dolore
Per determinale la soglia del dolore, si potrebbe ipotizzare di misurare il numero o di valutare la funzionalità dei canali del sodio Nav1.7 ma non disponiamo dei mezzi per attuare questo tipo di rilevamenti.
 
Un metodo indiretto, potrebbe essere lo studio dei geni che regolano il trofismo dei canali del sodio e il massimo proposto a questo riguardo è il dosaggio nel siero del gene che aumenta il numero dei canali del sodio: la proteina Foxo 1.33
 
Più semplicemente ma anche molto più grossolanamente, si può pensare a metodi semeiologici fisici come la semplice applicazione del ghiaccio 34 e altri che presuppongono la quantificazione dell’energia meccanica necessaria per evocare dolore, per esempio, con la digitopressione o con le apparecchiature proposte a questo scopo che, pomposamente definite algometri, consistono in un pistone a punta smussa da premere sulla parte da esaminare, collegato a un manometro che indica la pressione che dobbiamo esercitare per provocare dolore.35-38 Questa misurazione indica la risposta soggettiva nella zona dove la pressione viene esercitata e quindi la soglia del dolore in quel punto. Va ribadito che per avere informazioni sulla soglia del dolore di un individuo, questa misurazione non va fatta nella zona dolente (dove quel che si rileva è l’allodinia) ma su una zona dove il paziente non ha dolore spontaneo, né allodinia.39-40 In ogni caso, il massimo che possiamo ottenere è il sospetto generico di una soglia del dolore normale, ridotta o aumentata.
 
Tralasciando il metodo grossolano che prevede l’applicazione di stimoli elettrici,41 un metodo più raffinato potrebbe essere l’impiego della vecchia neurometria confidando sul fatto che con frequenze di stimolazione elettrica diverse vengono stimolate diverse categorie di fibre nervose: in particolare, con la corrente a 2000 Hz si stimolano le fibre Aß, con la corrente a 250 Hz le fibre Ad e con la corrente a 5 Hz le fibre C. Nato per valutare quantitativamente la sensibilità di un territorio cutaneo e soprattutto per evidenziare e tipizzare l’allodinia, lo strumento usato non sulla zona del dolore ma su zone dove il paziente non ha dolore potrebbe dare informazioni sull’eccitabilità delle fibre Aβ, Aδ e C.
 
 
 
Mezzi per controllare la soglia del dolore
Purtroppo, non disponiamo al momento di mezzi per elevare la soglia basale del dolore contrastando i canali del sodio Nav1.7 e il NGF!
Negli ultimi 20 anni e soprattutto negli ultimi 5 sono stati individuati o per lo meno presi in più seria considerazione i nuovi interessanti targer terapeutici per il trattamento del dolore rappresentati dai già menzionati canali del sodio Nav1.7, nonché dal NGF e secondo altri42 anche dai canali del sodio Nav1.8, dai TRPV1, dall’ossido nitrico, dalle prostaglandine E e dall’interleuchina-6. Ad oggi, tra questi ipotetici farmaci in Italia è disponibile (e solo per la medicina veterinaria) soltanto un prodotto che si chiama Bedinvetmab ed è analogo al Tanezumab (prodotto dalla Zoetis Italia con il nome commerciale di Librala e disponibile in fiale per uso sottocutaneo da 5-10-15-20-30 mg da sommniistrare alla dose di 0,5-1 mg/Kg/4 settimane).
Non manca un certo ostruzionismo nei confronti dei farmaci che contrastano i canali del sodio Nav1.7 e il NGF per elevare la soglia del dolore,  sia banalmente perché potrebbero essere considerati commercialmente concorrenziali nei confronti dei FANS e degli oppiacei e sia perché non si può escludere una loro “pericolosità” se fossero davvero efficaci e impiegati indiscriminatamente. Infatti, un farmaco che “fa sentire meno il dolore” potrebbe essere una panacea che mette in secondo piano la necessità di indagare sulla patogenesi del dolore e scegliere le terapie più appropriate e nelle mani del crescente numero di quanti nel dilagante trionfo della mediocrità considerano inutilmente faticoso pensare e correlare i concetti quando questi possono essere schematizzati in brevi riassunti facilmente reperibili “in rete”, potrebbe diventare un’arma addirittura pericolosa inducendo persino a trascurare la terapia causale. A questo punto, qualsiasi operatore sanitario indipendentmente dalla sua preparazione (se non il paziente stesso “educato” dalla dilagante pubblicità televisiva dei presidi sanitari) potrebbe gestire il dolore.
 
Contrasto dei canali del sodio Nav1.7
Gli attuali farmaci antidepolarizzanti che agisono sui canali del sodio (anestetici locali, carbamazepina ed altri antiepilettici) bloccano tutti i tipi di canale del sodio mentre quelli implicati nell’attivazione del potenziale transmembrana di azione (PTA) nei nocicettori ad opera degli stimoli nocicettivi sono solo i canali del sodio Nav1.7 e forse i Nav1.8 e i Nav1.9.43-46 Tra gli altri canali del sodio, il Nav1.1, il Nav1.2 e il Nav1.6 sono coinvolti nella neurotrasmissione nel SNC e con la loro iperfunzione nella produzione dell’epilessia, i Nav1.4 sono coinvolti nella contrattilità muscolare e i Nav1.5 nell’attività cardiaca.47
 
Coinvolgendo tutti i tipi di canali del sodio, gli attuali antidepolarizzanti che agiscono su essi possono essere usati come analgesici nel dolore tessutale solo con la somministrazione locale (come anestetici locali) perché con la somministrazione sistemica il raggiungimento di una loro sufficiente concentrazione in prossimità dei nocicettori richiede dosi inaccettabili dal punto di vista degli effetti collaterali dovuti al coinvolgimento dei canali del sodio presenti negli altri tessuti (specie nel cuore). Nel caso del dolore neuropatico, gli stessi farmaci possono essere usati per via sistemica nelle situazioni dove si ha una eccessiva proliferazione di canali del sodio come nei tratti demielinizzati delle fibre Aβ responsabili del dolore da demielinizzzazione della Nevralgia del trigemino. Sotto questo punto di vista, nonostante qualche entusiasmo, nulla è stato aggiunto dall’avvento della lacosamide.48-56
In base a queste considerazioni, i farmaci in grado di contrastare selettivamente i canali del sodio Nav1.7 potrebbero essere realmente una rivoluzionaria terapia del dolore evitando gli effetti collaterali e diventare una valida alternativa non (come verrebbe da pensare) ai FANS perché non esercitano l’effetto anti-infiammatorio ma agli altri analgesici (compresi gli oppiacei) e agli antiepilettici usati oltre che la cura dell’epilessia anche come terapia di alcuni dolori neuropatici.
Il ruolo chiave che i canali del sodio Nav1.7 svolgono nella produzione del dolore è provato dall’esistenza dell’analgesia congenita che si ritiene dovuta all’ipofunzione di questi canali 57-60 e dall’aumento o dalla riduzione del dolore provocato dai prodotti chimici che sperimentalmente ne aumentano o riducono la funzione.
Va osservato che verosimilmente la ridotta funzione dei canali del sodio Nav1.7 oltre a ridurre il dolore provoca anche l’iperfunzione (probabilmente compensatoria) del sistema oppioide endogeno dato che il naloxone riduce il controllo del dolore provocato dalla perdita della loro funzione.61
 
Per quanto riguarda la loro collocazione anatomica, i canali del sodio Nav1.7 si troverebbero, oltre che nella porzione recettoriale del primo neurone sensitivo (assieme ai canali del sodio denominati Nad) dove inducono la produzione del PTA, anche lungo l’assone contribuendo alla sua propagazione 62 e secondo alcuni 28,63,64 anche nei gangli della radice dorsale, nei gangli dei nervi cranici e nei gangli simpatici. Mentre è chiaro il ruolo dei Nav1.7 a livello dei nocicettori (dove producono la depolarizzazione con l’ingresso del sodio nella cellula nervosa attraverso i rispettivi canali), nel decorso della fibra nervosa (dove nel dolore tessutale consentono la propagazione della depolarizzazione fino al terminale centrale del primo neurone, nel dolore da danno assonale promuovono la depolarizzazione nei neorecettori del neuroma con l’ingresso del sodio attraverso i loro canali ionici e nel del dolore neuropatico da demielinizzazione promuovono la depolarizzazione dell’assone con l’ingresso del sodio attraverso i canali ionici neoformati dei tratti demielinizzati della fibra) e nelle sinapsi (dove promuovono la depolarizzazione del secondo neurone con l’ingresso del sodio attraverso i canali ionici della membrana post-sinaptica e quindi il trasferimento ad esso del messaggio nocicettivo) non lo è quello che dovrebbero avere nei gangli spinali e cranici. In realtà, i gangli simpatici contengono la sinapsi fra il neurone pre- e quello post-gangliare, ma i gangli spinali e cranici contengono solo i pirenofori da cui originano i fattori trofici e non mi sembra che si abbia in essi un’attività elettrica dove possano essere coinvolti i canali del sodio.
Vediamo ora lo scoraggiante elenco delle “sostanze” chimiche che sono state utilizzate nei laboratori di ricerca per contrastare i canali del sodio Nav1.7:
 
1.      Il benzazepinone .65
2.      La diaminotriazina. Bregman e Coll. .66 hanno riconosciuto in un tipo di diaminotriazina un potente inibitore di un sottotipo dei canali del sodio Nav1.7 identificato come hNav1.7.
3.      Lo spiroxidolo XEN907 .67
4.      La pyrrolo-benzo-1,4-diazina come inibitore dei Nav1.7 .68
5.      L’indazolo .69
6.      Lo shRNA .70
7.    Lo JNJ63955918. Sul presupposto che l’inibizione dei canali del sodio Nav1.7 sia responsabile dell’insensibilità al dolore, partendo dal peptide OroTX-II del veleno della tarantola, Flinspach e Coll. .71 estrassero un composto denominato JNJ63955918 in grado di indurre farmacologicamente l’insensibilità al dolore.
8.      La clorpromazina. Lee e Cll. .72 evidenziarono da un loro studio che la clorpromazina blocca  i canali del sodio Nav.7: in realtà, non ho trovato nella letteratura nessuna altra segnalazione al riguardo.
9.      La Jingzhaotoxin-34 (JZTX-34). Zeng e Coll. .73 sostennero che in condizioni sperimentali il JZTX-34 che è un bloccante selettivo dei canali del sodio Nav1.7, alla dose di 2 mg/Kg ha la stessa efficacia antalgica di 5 mg/Kg di morfina.
10.   Lo rSVmab74
11.   L’acylsulfonamide75-78
12.   Il μ-theraphotoxin-Pn3a79
13.   Il DA-0218 (l’inpronunciabile: 9 (3-(1-benzyl-1H-indol-3-yl)-3-(3-phenoxyphenyl)-N-(2-(pyrrolidin-1-yl)ethyl)propanamide)80
14.   La cytosolic collapsin response mediator protein (CRPM) che sarebbe un regolatore dei canali del sodio Nav1.7 efficace nel dolore neuropatico “cronico” ma non in quello “fisiologico” 81-82
15.   Il proTxII 83-84
16.   La Propanamide 85
17.   Il Il-10. Questo prodotto, come inibitore dei canali del sodio Nav1.7 ridurrebbe il dolore radicolare nel ratto 86
18.   La tetrodotoxina 87-88
19.   L’inibitore dei Nav1.7 derivato della ralfinamide e chiamato QLS-8185
20.   L’amitriptilina per applicazione topica come potente inibitore dei canali del sodio Nav1.7, Nav1.8 e Nav1.9 89
21.   Il ST-2530 o saxitoxina 90
22.   Per aggiungere una nota di folclore, è stato preso in considerazione anche l’Allium macrostemon Bunge che è un’erba commestibile impiegata dalla medicina tradizionale cinese per curare il dolore, perché bloccherebbe i canali del sodio Nav1.7 91
Contrasto del NGF
Scoperto negli anni '50 dalla ricercatrice italiana Rita Levi-Montalcini che grazie ad esso ottenne il premio Nobel, il NGF è una proteina che regola la crescita dei neuroni sensitivi e simpatici durante lo sviluppo ed agisce legandosi ad uno specifico recettore che è la tropomiosina-kinasi (TrK) presente nel ganglio della radice dorsale e (verosimilmente) in tutte le fibre nervose sensitive.
Dapprima si sperò che il NGF potesse esercitare funzioni neurotrofiche utili alla rigenerazione nervosa ma con questa finalità non ebbe successo. Quasi per ironia della sorte, in seguito, osservato che il NGF aumenta nella flogosi perché liberato dai mastociti, dai macrofagi e dai linfociti, fu ipotizzato che, per il suo potere neurotrofico, possa contribuire alla produzione dell’iperalgesia e dell’allodinia nei tessuti sede di flogosi tramite la sensibilizzazione dei nocicettori. Fu quindi considerato un potenziare responsabile del persistere del dolore e (ovviamente) della sua “cronicizzazione” .92. Su questa linea di pensiero fu preparato un anticorpo monoclonale (IgG) diretto a contrastare l’effetto del NGF: il tanezumab che agisce bloccando il legame del NGF con il suo recettore TrK. Quel che si auspica di ottenere con il tanezumab è la riduzione dell’eccitabilità dei nocicettori, cioè quel che fino ad ora si era ottenuto con i FANS ma con la differenza che i FANS agiscono solo quando l’eccitabilità dei nociettori è aumentata dalle prostaglandine e non quando dipende, per esempio, dall’infiammazione neurogena che sostiene il dolore neuroaptico da persistente ipereccitabilità dei nocicettori. Quindi il Tanezumab dovrebbe trovare indicazione nel dolore tessutale, nel dolore neuropatico da persistente ipereccitabilità dei nocicettori e nella CRPS-I.
Va però considerato che la riduzione dell’eccitabilità dei nocicettori è ottenuta dal Tanezumab in virtù dell’antagonismo del NGF e quindi di un effetto neurotossico: considerato ciò, dobbiamo chiederci se realmente il danno nervoso che intendiamo produrre con il Tanezumab possa essere selettivamente limitato ai nocicettori senza, come si può temere, coinvolgere gli assoni o i pirenofori. Forse è possibile che il dosaggio del Tanezumab possa essere esattamente calibrato per ottenere questa selettività ma non si può prescindere dal dubbio che ciò sia realmente possibile.
A questo punto sorge spontanea una domanda: il Tanezumab può essere considerato un farmaco per elevare la soglia del dolore? Gli ipotetici farmaci che contrastano i canali del sodio Nav1.7 aumentano la soglia del dolore perché contrastano i canali del sodio Nav1.7 nei nocicettori e, in quanto inibitore del NGF, il Tanezumab “danneggia” i nocicettori riducendone l’eccitabilità: quindi, il Tanezumab può essere effettivamente considerato un farmaco per elevare la soglia del dolore.
    E’ evidente che un farmaco con queste caratteristiche può avere grandi potenzialità terapeutiche in molte situazioni cliniche che concernono il dolore tessutale e alcuni dolori neuropatici. Individuata la sua potenzialità come analgesico, la sperimentazione pre-clinica del Tanezumab iniziò nei primi anni 2000 per il controllo del dolore collegato all’osteoartrosi (specie dell’anca e del ginocchio) e sospesa temporaneamente nel 2010 per la segnalata comparsa di osteonecrosi nei soggetti trattati. La “sfortuna” di Tanezumab non finisce qui perché, ripresa in tutto il mondo la sperimentazione, nel 2021 viene sviluppata una preparazione di Tanezumab, che però non sarà disponibile per l’uso clinico perchè il 16 settembre 2021 l’Agenzia europea per i medicinali ne raccomandò il rifiuto dell’autorizzazione all’immissione in commercio!
Notare che come effetti collaterali del Tanezumab sono segnalati l’osteonecrosi, le parestesie e la  “neuropatia periferica” che paradossalmente sono tra le sue indicazioni terapeutiche. Per quanto riguarda l’osteonecrosi, si può pensare che l’abolizione del dolore consenta un uso eccessivo dell’articolazione coinvolta nell’osteoartrosi. Forse i FANS non producono osteonecrosi perché non tolgono abbastanza il dolore mentre il Tanezumab la produce perché è più efficace. Questo, da un lato, conferma la sua efficacia antalgica e, dall’altro, per lo strettissimo range terapeutico, implica la necessità non solo di un adeguato dosaggio ma anche e soprattutto l’assoluta necessità di un suo uso “controllato”. In altre parole, si deve valutare quando e in quale misura “conviene” ridurre il trofismo del nervo. Si tenga presente che secondo uno studio,93 per lo meno nelle scimmie, sembra che anche ad alte dosi il Tanezumab non abbia effetti neurotossici se somministrato ad intervalli di 8 settimane per 6 mesi ma, nonostante questi promettenti riscontri, non sappiamo ancora per quanto tempo e in quali dosi possa essere somministrato nell’uomo con un accettabile margine di sicurezza.
    E’ possibile che il Tanezumab dia vita a una nuova generazione di analgesici94,95 ma, anche grazie alla sua praticità di impiego, considerato che può essere somministrato per via sottocutanea ed ha una lunga emivita plasmatica (circa 3 settimane), è facile immaginare che, presi dall’entusiamo, si finisca per utilizzarlo per ogni tipo di dolore acuto e, soprattutto “cronico”. Già da ora è stato proposto oltre che per la cura del dolore da coxartrosi alla dose di 2,5-10 mg/8 settimane96,97 e del dolore da metastasi ossee,98 anche nel low back pain99,100 e nella nevralgia post-herpetica.101.          
Tre anni fa, 102 scrivevo: “…si deve sperare che Tanezumab, da un lato, non sia uno dei soliti prodotti tanto sicuri e innoqui quanto utili solo dal punto di vista commerciale e, dall’altro, che sia realmente efficace e sufficientemente gestibile nella pratica clinica”. Da allora sono comparsi numerosissimi altri studi sul Tanezumab che però non hanno portato a conclusioni definitive.
Per quel che riguarda le indicazioni, non si è più parlato della neuropatia periferica e della nevralgia post-herpetica e sono considerare esclusivamente l’osteoartrosi dell’anca e del ginocchio e in qualche caso un non meglio precisato dolore lombare cronico.103-104
Problemi non ancora completamente risolti riguardano la via di somministrazione e il dosaggio del Tanezumab. Per quel che riguarda il primo punto, la maggior parte degli studi propone la somministrazione sottocutanea a un dosaggio variabile da 2,5 a 10 mg ogni 8 settimane.105 Per il dosaggio, in un primo tempo, Schnitzer et al.106 proposero la somministrazione di 2,5 mg la prima volta e di 5 mg dopo 8 settimane ma in una pubblicazione successiva gli stessi Autori fecero osservare che l’effetto antalgico con il dosaggio di 5 mg era appena di poco superiore a quello ottenuto con 2,5 mg107
Altri, per contro, proposero 5-10 mg sottocute ogni 8 settimane108 e Song e Lee109 sostennero che il dosaggio ottimale è di 5 mg/8 settimane.
In alternativa a quella sottocutanea e preferibile ad essa, alcuni Autori proposero la sommistrazione endovenosa del Tanezumab. Walicke et al.110 proposero per il trattamento del dolore da osteoartrosi del ginocchio la somministrazione endovenosa di 0,7 mg/Kg di peso corporeo e secondo Cai et al. 111 i risultati migliori con il Tanezumab si otterrebbero con 10 mg endovena ed i peggiori con 2,5 mg sottocute. Secondo Markman et al.112 per il trattamento del dolore lombare cronico il Tanezumab andrebbe somministrato per via venosa alla dose di 2,5 o addirittura di 20 mg/8 settimane (nella loro esperienza la cura si protrasse per 56 settimane).
Va osservato che, indipendentemente dalla via di somministrazione, tutti gli Autori sono concordi nell’intervallo di 8 settimane fra le somministrazioni di tanezumab (…quindi  o il farmaco ha un’emivita lunghissima o la preparazione è retard).
Praticamente tutti sono concordi sull’efficacia antalgica del tanezumab che darebbe ottimi risultati antalgici già nella prima settimana di trattamento.112
Paradossalmente, sembrerebbe che l’efficacia sia persino eccessiva dato che quasi tutti segnalano la possilibilità di un aggravamento del danno articolare nei pazienti con osteoartrosi dell’anca o del ginocchio106,108,113-116 anche se secondo la rassicurante osservazione di Zhang et al.117 questi danni si avrebbero soltanto in un limitato numero di casi. Dello stesso parere sono Berenbaum et al.118 quando sostengono che le parestesie sono frequenti ma l’aggravamento dell’osteoartrosi è infrequente alla dose (consigliata) di 2,5 mg/8 settimane (per lo meno nelle prime 24 settimane). In definitiva, a parte l’aggravamento dell’osteoartrosi, gli altri effetti collaterali sarebbero minimi,119 consistendo in quelle che in vari studi vengono fumosamente definite “anomale sensazioni periferiche” e che credo vadano intese come parestesie.
 Quasi come curiosità, va segalata la segnalazione di Konno et al.120 che sostengono che nel “dolore lombare cronico” gli effetti avversi (le solite “anormali sensazioni periferiche”) riguarderebbero il 63% dei pazienti cui viene somministrato Tanezumab alla dose di 5 mg e il 54% di quelli cui venono somministrati 10 mg ed anche i danni articolari arebbero maggiori in quelli che ricevono 5 mg rispetto a quelli che ne ricevono 10.

Conclusioni
Credo sia opportuno precisare che gli inibitori dei canali del sodio Nav1.7 e tanezumab non debbano essere assolutamente equiparati agli “analgesici”: nella pratica clinica, essi non sostituiscono gli analgesici. Quel che con essi si otterrebbe non è semplicemente il controllo del dolore ma addirittura l’eliminazione della possibilità di avere il dolore e il raggiungimento di questo miraggio che potrebbe essere considerato come una delle più grandi conquiste dell’uomo moderno, sotto un certo punto di vista può addirittura essere pericoloso perché, esagerando, si rischia di rinunciare all’utile funzione protettiva del dolore. In realtà, questo ragionamento è frutto di un equivoco che nasce dal fatto che quello a cui dobbiamo mirare non è l’eliminzione della possibilità di sentire il dolore come segnale di allarme ma l’eliminazione del dolore come sintomo dopo che questo è stato utilizzato per porre la diagnosi della malattia che l’ha provocato e soprattutto quando è malattia di per sè. Certo ci sono sfumature da considerare in questo ragionamento. Ad esempio, non c’è dubbio che il dolore che spinge a ridurre il carico sull’articolazione del ginocchio nella gonartrosi serva a limitare l’aggravarsi del danno articolare: però, dopo che il dolore ha segnalato quella patologia, si deve provvedere trattarla adeguatamnte e non è eticamente corretto fare affidamento sul dolore per contenerne l’aggramento. In altre parole, la pericolosità dell’elevazione terapeutica della soglia del dolore può aversi soltanto se il conseguimento di questo risultato corrisponde alla follia della rinuncia alla terapia causale quando questa è possibile.
Come curiosità va segnalato che rispetto al genoma dell’uomo moderno, nei neandertaliani vi sarebbero state tre varianti nella proteina che codifica i Nav1.7 in grado di determinare una loro ridotta inattivazione per cui i nervi periferici sarebbero stati più sensibili agli stimoli nocicettivi: in altre parole, i neandertaliani sentivano più dolore degli uomini moderni e le suddette varianti sarebbero presenti nel 4/1000 degli attuali britannici [Zeberg et al.2020]. Da malpensanti, viene da considerare che se è vero che i neandertaliani percepivano il dolore più degli uomini moderni può essere messa in dicussione la funzione protettiva del dolore perché i neandertaliani che sentivano più dolore si sono estinti e l’uomo moderno che ne sente meno è sopravvissuto!

Circa 2 anni fa, tanezumab fu proposto come rimedio contro il dolore legato all’osteoartrite, ai tumori ossei, alla cistite interstiziale e alla lombalgia cronica…vale a dire come alternativa alle terapie tradizionali con i FANS e gli oppiacei: non deve stupire che su queste premesse il 16 settembre 2021 l’Agenzia europea per i medicinali ne abbia rifiutato l’autorizzazione all’immissione in commercio.
Anche se commercialmente sembra conveniente estendere l’uso del tanezumab a indicazioni cliniche tanto frequenti quanto generiche come la lombalgia cronica, seguendo questa politica il farmaco non sarà mai approvato: in realtà, le sue indicazioni non sono la soppressione del dolore ad ogni costo ma l’elevazione della soglia del dolore nelle situazioni dove essa riveste un ruolo patogenetico rilevante. Finchè non si chiariranno le sue indicazioni terapeutiche, è ben difficile che potremo disporre di questo interessantissimo presidio farmacologico.
Tanezumab e gli ipotetici inibitori dei canali del sodio Nav1.7 non devono affatto essere considerati come alternative terapeutiche ma come opzioni da impiegare in particolari e ben definite situazioni cliniche, vale a dire dove la ridotta soglia del dolore gioca un ruolo patogenetico particolarmente rilevante o addirittura è l’elemento patogenetico principale come nel caso dell’emicrania.
Queste considerazioni portano a stabilire che questi farmaci, lungi dall’essere affidati ad un impiego generico, devono essere gestiti con la massima competenza. Vediamo quindi quando dovrebbero essere impiegati e quando andrebbero preferiti ai comuni analgesici ed alle procedure antalgiche infiltrative e chirurgiche.
Teoricamente gli inibitori dei canali del sodio Nav1.7 e tanezumab andrebbero usati quando si riscontra una soglia del dolore inferiore alla norma ma in pratica questa verifica è quasi impossibile. In definitiva, potendo fare scarso affidamento su riscontri obbiettivi, l’unico modo per decidere se usare o no gli inibitori dei canali del sodio Nav1.7 e il tanezumab dovranno essere le valutazioni cliniche indirette, vale a dire la diagnosi patogenetica del dolore, considerandoli indicati:
1) nelle patologie dove riteniamo che il principale meccanismo patogenetico sia la ridotta soglia del dolore, vale a dire l’emicrania, la cefalea muscolotensiva, il dolore neuropatico da patologia delle piccole fibre, la sindrome della bocca che brucia, la neuropatia trigeminale, il dolore dell’arto fantasma, la sindrome del colon irritabile, lo stato del paziente incline al dolore, il dolore da malattia degenerativa sistemica dell’anziano e…la tanto di moda fibromialgia;
2) nelle patologie dove si può ritenere che la soglia del dolore condizioni la gravità della sintomatologia o addirittura la sua comparsa;
3) quando il dolore non è più utile ai fini diagnostici;
4) quando il dolore è dovuto a una patologia che non può essere curata come il cancro.

Conflitto di interessi
L'autore dichiara assenza di conflitto di interessi
Open Access-license (CC BY-NC 4.0)
Published
27th December 2023
Bibliografia
1) O'Driscoll S.L., Jayson M.I. Pain threshold analysis in patients with osteoarthrosis of hip. Br Med J., 3 (1974) 714-5
2) Imamura M. et al. Changes in pressure pain threshold in patients with chronic nonspecific low back pain. Spine (Phila Pa 1976), 38 (2013) 2098-107
3) Cygańska A.K. et al. Pain threshold in selected trigger points of superficial muscles of the back in young adults. PeerJ, 10 (2022) e12780
4) Eserdag S., Sevinc T., Tarlacı S. Do women with vaginismus have a lower threshold of pain? Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol., 258 (2021) 189-192
5) Orlandini G. La semeiotica del dolore: dai presupposti teorici alla pratica clinica. Manuale d’uso pluridisciplinare. Seconda Edizione. Delfino Ed., Roma 2014
6) Incel N.A. et al. Pain pressure threshold values in ankylosing spondylitis. Rheumatol Int., 22 (2002) 148-50
7) Marques A.P. Quantifying pain threshold and quality of life of fibromyalgia patients. Clin Rheumatol., 24 (2005) 266-71
8) Gomes M.B. et al. Palpation and pressure pain threshold: reliability and validity in patients with temporomandibular disorders. Cranio, 26 (2008) 202-10.
9) Sayed-Noor A.S. et al. Pressure-pain threshold algometric measurement in patients with greater trochanteric pain after total hip arthroplasty. Clin J Pain, 24 (2008) 232-6
10) Terzi H., Terzi R., Kale A. The relationship between fibromyalgia and pressure pain threshold in patients with dyspareunia. Pain Res Manag., 20 (2015) 137-40.
11) Cheatham S.W et al. Concurrent validation of a pressure pain threshold scale for individuals with myofascial pain syndrome and fibromyalgia. J Man Manip Ther., 26 (2018) 25-35
12) Kelly de Oliveira A. et al. Reliability of pressure pain threshold on myofascial trigger points in the trapezius muscle of women with chronic neck pain. Rev Assoc Med Bras., 67 (2021) 708-712
13) Zicarelli C.A.M. et al. Reliability of pressure pain threshold to discriminate individuals with neck and low back pain. J Back Musculoskelet Rehabil., 34 (2021) 363-370.
14)  Christidis N., Kopp S., Ernberg M. The effect on mechanical pain threshold over human muscles by oral administration of granisetron and diclofenac-sodium. Pain, 113 (2005) 265-270
15) Baek S.W., Erdek M.A. Time-dependent change in pain threshold following neurolytic celiac plexus block. Pain Manag., 9 (2019) 543-550
16) De Oliveira Gomes A. et al. Influence of different frequencies of transcutaneous electrical nerve stimulation on the threshold and pain intensity in young subjects. Einstein (Sao Paulo), 12 (2014) 318-22.
17) Telles J.D et al. Transcutaneous electrical nerve stimulation and cervical joint manipulation on pressure pain threshold. Pain Manag., 8 (2018) 263-269.
18) Honoré M. et al. The regional effect of spinal manipulation on the pressure pain threshold in asymptomatic subjects: a systematic literature review. Chiropr Man Therap., 26 (2018) 11.
19) IASP (Subcommittee on Taxonomy) Classification of chronic pain: description of chronic pain syndromes and definitions of pain terms. IASP Press, Seattle 1994
20) Wilkerson J.L., Milligan E.D. The Central Role of Glia in Pathological Pain and the Potential of Targeting the Cannabinoid 2 Receptor for Pain Relief. ISRN Anesthesiol. 2011;2011(2011). pii: 593894
21) Hildebrand M.E., Smith P.L., Bladen C., Eduljee C., Xie J.Y., Chen L., Fee-Maki M., Doering C.J., Mezeyova J., Zhu Y., Belardetti F., Pajouhesh H., Parker D., Arneric S.P., Parmar M., Porreca F., Tringham E., Zamponi G.W., Snutch T.P. A novel slow-inactivation-specific ion channel modulator attenuates neuropathic pain. Pain, 152 (2011) 833-843
22) Orlandini G. Manuale della visita algologica e della formulazione della diagnosi. Delfino Ed., Roma 2022
23) Orlandini G. La decisione terapeutica nella medicina del dolore: dalla diagnosi patogenetica alla scelta motivata della terapia. Delfino Ed., Roma 2020
24) Kwon M., Jung Y., Cha M., Lee B.H. Inhibition of the Nav1.7 Channel in the Trigeminal Ganglion Relieves Pulpitis Inflammatory Pain. Front Pharmacol., 12 (2021)
25) Fischer TZ, Waxman S.G. Familial pain syndromes from mutations of the NaV1.7 sodium channel. Ann N Y Acad Sci., 1184 (2010) 196-207
26) Liu C., Cao J., Ren X., Zang W. Nav1.7 protein and mRNA expression in the dorsal root ganglia of rats with chronic neuropathic pain. Neural Regen Res., 7 (2012) 1540-4
27) Tian J.J. et al. Upregulation of Nav1.7 by endogenous hydrogen sulfide contributes to maintenance of neuropathic pain. Int J Mol Med., 46 (2020) 782-794
28) Estacion M. et al. Intra- and interfamily phenotypic diversity in pain syndromes associated with a gain-of-function variant of NaV1.7. Mol Pain, 7 (2011) 92
29) Themistocleous A.C. et al. The clinical approach to small fibre neuropathy and painful channelopathy. Pract Neurol., 14 (2014) 368-79
30) Doppler K., Sommer C. Neuropathic pain associated with Nav1.7 mutations: clinical picture and treatment. Nervenarzt., 84 (2013) 1428-35
31) Blass B.E.  Acyl Sulfonamides NaV1.7 Blockers Useful for the Treatment of Pain. ACS Med Chem Lett. 9 (2018) 161–162.
32) De Rooij A.M., Gosso M.F., Alsina-Sanchis E., Marinus J., Van Hilten J.J., Van den Maagdenberg A.M.J.M. No mutations in the voltage-gated NaV1.7 sodium channel alpha1 subunit gene SCN9A in familial complex regional pain sindrome. Eur J Neurol., 17 (2010) 808-14.
33) Long Zhang X. et al. Foxo 1 selectively regulates static mechanical pain by interacting with Nav1.7. Pain, 162 (2021) 490-502.
34) Tilley P., Bisset L. The Reliability and Validity of Using Ice to Measure Cold Pain Threshold. Biomed Res Int., (2017) 7640649.
35) Buchanan H.M., Midgley J.A. Evaluation of pain threshold using a simple pressure algometer. Clin Rheumatol., 6 (1987) 510-7.
36) Hogeweg J.A. et al. Algometry. Measuring pain threshold, method and characteristics in healthy subjects. Scand J Rehabil Med., 24 (1992) 99-103.
37) Intonaci F. et al. Pain threshold in humans. A study with the pressure algometer. Funct Neurol., 7 (1992) 283-8.
38) Melia M. et al. Measuring mechanical pain: the refinement and standardization of pressure pain threshold measurements. Behav Res Methods., 47 (2015) 216-27.
39) Mikkelsson et al. Muscle and bone pressure pain threshold and pain tolerance in fibromyalgia patients and controls. Arch Phys Med Rehabil., 73 (1992) 814-8.
40) Montenegro M.L.L.S. et al. Pain pressure threshold algometry of the abdominal wall in healthy women. Braz J Med Biol Res., 45 (2012) 578-82.
41) Maresca M, Faccani G. The measurement of pain threshold in man by means of electrical stimuli. A critical appraisal. J Neurosurg Sci., 27 (1983) 83-93.
42) Chen R., Coppes O.J.M., Urman R.D. Receptor and Molecular Targets for the Development of Novel Opioid and Non-Opioid Analgesic Therapies. Pain Physician, 24 (2021) 153-163.
43) Nassar M.A. et al. Nociceptor-specific gene deletion reveals a major role for Nav1.7 (PN1) in acute and inflammatory pain. Proc Natl Acad Sci U S A, 101 (2004) 12706-11
44) Strickland I.T., Martindale J.C., Woodhams P.L., Reeve A.J., Chessell I.P., McQueen D.S. Changes in the expression of NaV1.7, NaV1.8 and NaV1.9 in a distinct population of dorsal root ganglia innervating the rat knee joint in a model of chronic inflammatory joint pain. Eur J Pain, 12 (2008) 564-72
45) Kanellopoulos  A.H., Matsuyama A. Voltage-gated sodium channels and pain-related disorders. Clin Sci (Lond), 130 (2016) 2257-2265
46) Foadi N. Modulation of sodium channels as pharmacological tool for pain therapy-highlights and gaps. Naunyn Schmiedebergs Arch Pharmacol., 391 (2018) 481-488
47) Abdel-Magid A.F. Nav1.7 Inhibitors: Potential Effective Therapy for the Treatment of Chronic Pain. ACS Med Chem Lett., 6 (2015) 956-7
48) Hao J.X., Stöhr T., Selve N., Wiesenfeld-Hallin Z., Xu X.J. Lacosamide, a new anti-epileptic, alleviates neuropathic pain-like behaviors in rat models of spinal cord or trigeminal nerve injury. Eur J Pharmacol., 553 (2006) 135-40
49) Stöhr T., Krause E., Selve N. Lacosamide displays potent antinociceptive effects in animal models for inflammatory pain. Eur J Pain, 10 (2006) 241-9
50) Beyreuther B.K., Geis C., Stöhr T., Sommer C. Antihyperalgesic efficacy of lacosamide in a rat model for muscle pain induced by TNF. Neuropharmacology, 52 (2007) 1312-7
51) Biton V. Lacosamide for the treatment of diabetic neuropathic pain. Expert Rev Neurother., 8 (2008) 1649-60.
52) Harris J.A., Murphy J.A. Lacosamide: an adjunctive agent for partial-onset seizures and potential therapy for neuropathic pain. Ann Pharmacother., 43 (2009) 1809-17.
53) McCleane G. Lacosamide for pain. Expert Opin Investig Drugs., 19 (2010) 1129-34.
54) Hearn L., Derry S., Moore R.A. Lacosamide for neuropathic pain and fibromyalgia in adults. Cochrane Database Syst Rev. 2012.
55) Masrour S. Lacosamide for refractory trigeminal neuralgia and other facial pain. Case report. Headache, 62 (2022) 1227-1230.
56) Alcántara Montero A. Off-label use of lacosamide, an alternative for the treatment of neuropathic pain. Headache., 62 (2022) 1239-1240.
57) Goldberg Y.P. et al. Loss-of-function mutations in the Nav1.7 gene underlie congenital indifference to pain in multiple human populations. Clin Genet., 71 (2007) 311-9.
58) King G.F., Vetter I. No gain, no pain: NaV1.7 as an analgesic target. ACS Chem Neurosi., 5 (2014) 749-51.
59) Hoffmann T, Sharon O., Wittmann J., Carr R.W., Vyshnevska A., Col R., Nassar M.A., Reeh P.W. NaV1.7 and pain: contribution of peripheral nerves. Pain, 159 (2018) 496-506.
60) Shields S.D. et al. Insensitivity to Pain upon Adult-Onset Deletion of Nav1.7 or Its Blockade with Selective Inhibitors. J Neurosi., 38 (2018) 10180-10201
61) Emery E.C., Luiz A.P., Wood J.N. Nav1.7 and other voltage-gated sodium channels as drug targets for pain relief. Expert Opin Ther Targets, 20 (2016) 975-83
62) Hoffmann T., Sharon O., Wittmann J., Carr R.W., Vyshnevska A., Col R., Nassar M.A., Reeh P.W. NaV1.7 and pain: contribution of peripheral nerves. Pain, 159 (2018) 496-506
63) Doppler K., Sommer C. Neuropathic pain associated with Nav1.7 mutations: clinical picture and treatment. Nervenarzt., 84 (2013) 1428-35.
64) Blass B.E.  Acyl Sulfonamides NaV1.7 Blockers Useful for the Treatment of Pain. ACS Med Chem Lett. 9 (2018) 161–162.
65) Hoyt S.B. et al. Benzazepinone Nav1.7 blockers: potential treatments for neuropathic pain. Bioorg Med Chem Lett., 17 (2007) 6172-7.
66) Bregman H. et al. Identification of a potent, state-dependent inhibitor of Nav1.7 with oral efficacy in the formalin model of persistent pain. J Med Chem., 54 (2011) 4427-45.
67) Chowdhury S. et al. Discovery of XEN907, a spirooxindole blocker of NaV1.7 for the treatment of pain. Bioorg Med Chem Lett., 21 (2011) 3676-81.
68) Ho G.D. et al. Discovery of pyrrolo-benzo-1,4-diazines as potent Na(v)1.7 sodium channel blockers. Bioorg Med Chem Lett., 24 (2014) 4110-3.
69) Frost J.M. et al. Substituted Indazoles as Nav1.7 Blockers for the Treatment of Pain. J Med Chem., 59 (2016) 3373-91.
70) Cai W., Cao J., Ren X., Qiao L., Chen X., Li M., Zang W. shRNA mediated knockdown of Nav1.7 in rat dorsal root ganglion attenuates pain following burn injury. BMC Anesthesiol., 16 (2016) 59
71) Flinspach M. et al. Insensitivity to pain induced by a potent selective closed-state Nav1.7 inhibitor. Sci Rep., 7 (2017) 39662
72) Lee S.J., Kim D.H., Hahn S.J., Waxman S.G., Choi J.S. Mechanism of inhibition by chlorpromazine of the human pain threshold sodium channel, Nav1.7. Neurosci Lett., 639 (2017) 1-7
73) Zeng X. et al. Selective Closed-State Nav1.7 Blocker JZTX-34 Exhibits Analgesic Effects against Pain. Toxins (Basel), 10 (2018) 64
74) Sangsu Bang B. et al. Differential Inhibition of Nav1.7 and Neuropathic Pain by Hybridoma-Produced and Recombinant Monoclonal Antibodies that Target Nav1.7 : Differential activities of Nav1.7-targeting monoclonal antibodies. Neurosci Bull., 34 (2018) 22-41.
75) Focken T. et al. Discovery of Aryl Sulfonamides as Isoform-Selective Inhibitors of NaV1.7 with Efficacy in Rodent Pain Models. ACS Med Chem Lett., 7 (2016) 277-82.
76) Blass B.E.  Acyl Sulfonamides NaV1.7 Blockers Useful for the Treatment of Pain. ACS Med Chem Lett. 9 (2018) 161–162.
77) Shields S.D. et al. Insensitivity to Pain upon Adult-Onset Deletion of Nav1.7 or Its Blockade with Selective Inhibitors. J Neurosi., 38 (2018) 10180-10201.
78) Safina B.S. et al. Discovery of Acyl-sulfonamide Nav1.7 inhibirors GDC-9276 and GDC-0310. J.Med.Chem., 64 (2021) 2953-2966.
79) Mueller A. et al. Antiallodynic effects of the selective NaV1.7 inhibitor Pn3a in a mouse model of acute postsurgical pain: evidence for analgesic synergy with opioids and baclofen. Pain, 160 (2019) 1766-1780.
80) Chandra S., Wang Z., Tao X., Chen O., Luo X., Bortsov AV. Computer-aided Discovery of a New Nav1.7 Inhibitor for Treatment of Pain and Itch. Anesthesiology, 133 (2020) 611-627.
81) Moutal A. et al. Studies on CRMP2 SUMOylation-deficient transgenic mice identify sex-specific Nav1.7 regulation in the pathogenesis of chronic neuropathic pain. Pain, 161 (2020) 2629-2651.
82) Li J., Stratton H.J., Lorca S.A., Grace P.M., Khanna R. Small molecule targeting NaV1.7 via inhibition of the CRMP2-Ubc9 interaction reduces pain in chronic constriction injury (CCI) rats. Channels (Austin), 16 (2022) 1-8.
83) Abdel-Magid A.F. Nav1.7 Inhibitors: Potential Effective Therapy for the Treatment of Chronic Pain. ACS Med Chem Lett., 6 (2015) 956-7.
84) Kwon M., Jung Y., Cha M., Lee B.H. Inhibition of the Nav1.7 Channel in the Trigeminal Ganglion Relieves Pulpitis Inflammatory Pain. Front Pharmacol., 12 (2021).
85) Niu H. et al. Inhibition of Nav1.7 channel by a novel blocker QLS-81 for alleviation of neuropathic pain. Acta Pharmacol Sin., 42 (2021) 1235-1247.
86) Huang Y., Zhu L., Zhang W., Tang Q., Zhong Y. IL-10 alleviates radicular pain by inhibiting TNF-α/p65 dependent Nav1.7 up-regulation in DRG neurons of rats. Brain Res., 1791 (2022) 147997.
87) Salas M.M. et al. Tetrodotoxin suppresses thermal hyperalgesia and mechanical allodynia in a rat full thickness thermal injury pain model. Neurosci Lett., 607 (2015) 108-113.
88) Mattei C. Tetrodotoxin, a Candidate Drug for Nav1.1-Induced Mechanical Pain? Mar Drugs, 16 (2018) 72.
89) Genevois A.L. et al. Analgesic Effects of Topical Amitriptyline in Patients With Chemotherapy-Induced Peripheral Neuropathy: Mechanistic Insights From Studies in Mice. J Pain, 22 (2021) 440-453.
90) Beckley J.T. et al. Antinociceptive properties of an isoform-selective inhibitor of Nav1.7 derived from saxitoxin in mouse models of pain. Pain, 162 (2021) 1250-1261
91) Yang X. et al. Allium macrostemon Bunge. exerts analgesic activity by inhibiting NaV1.7 channel. J Ethnopharmacol., 281 (2021) 114495
92) Patel M.K., Kaye A.D., Urman R.D. Tanezumab: Therapy targeting nerve growth factor in pain pathogenesis. J Anaesthesiol Clin Pharmacol., 34 (2018) 111-116
93) Belanger P., Butler P., Butt M., Bhatt S., Foote S., Shelton D., Evans M., Arends R., Hurst S., Okerberg C., Cummings T., Potter D., Steidl-Nichols J., Zorbas M. From the Cover: Evaluation of the Effects of Tanezumab, a Monoclonal Antibody Against Nerve Growth Factor, on the Sympathetic Nervous System in Adult Cynomolgus Monkeys (Macaca fascicularis): A Stereologic, Histomorphologic, and Cardiofunctional Assessment. Toxicol Sci., 158 (2017) 319-333
94) Brown M.T., Herrmann D.N., Goldstein M., Burr A.M., Smith M.D., West C.R., Verburg K.M., Dyck P.J. Nerve safety of tanezumab, a nerve growth factor inhibitor for pain treatment. J Neurol Sci., 345 (2014) 139-147
95) Nair A.S. Tanezumab: Finally a Monoclonal Antibody for Pain Relief Indian J Palliat Care. 24 (2018) 384–385.
96) Birbara C., Dabezies E.J. Jr., Burr A.M., Fountaine R.J., Smith M.D., Brown M.T., West C.R., Arends R.H., Verburg K.M. Safety and efficacy of subcutaneous tanezumab in patients with knee or hip osteoarthritis. J Pain Res., 11 (2018) 151-164.
97) Ekman E.F., Gimbel J.S., Bello A.E., Smith M.D., Keller D.S., Annis K.M., Brown M.T., West C.R., Verburg K.M. Efficacy and safety of intravenous tanezumab for the symptomatic treatment of osteoarthritis: 2 randomized controlled trials versus naproxen. J Rheumatol. 41 (2014) 2249-2259
98) Sopata M., Katz N., Carey W., Smith M.D., Keller D., Verburg K.M., West C.R., Wolfram G., Brown M.T. Efficacy and safety of tanezumab in the treatment of pain from bone metastases. Pain, 156 (2015) 1703-1713
99) Jayabalan P., Schnitzer T.J. Tanezumab in the treatment of chronic musculoskeletal conditions. Expert Opin Biol Ther., 17 (2017) 245-254.
100) Webb M.P., Helander E.M., Menard B.L., Urman R.D., Kaye A.D. Tanezumab: a selective humanized mAb for chronic lower back pain. Ther Clin Risk Manag., 14 (2018) 361-367.
101)  Bramson C., Herrmann D.N., Carey W., Keller D., Brown M.T., West C.R., Verburg K.M., Dyck P.J. Exploring the role of tanezumab as a novel treatment for the relief of neuropathic pain. Pain Med., 16 (2015) 1163-1176.
102)  Orlandini G. La decisione terapeutica nella medicina del dolore: dalla diagnosi patogenetica alla scelta motivata della terapia. Delfino Ed., Roma 2020.
103) Markman J.D. et al. Tanezumab for chronic low back pain: a randomized, double-blind, placebo- and active-controlled, phase 3 study of efficacy and safety. Pain, 161 (2020) 2068-2078.
104) Konno S.I., Nikaido T., Markman J.D., Ohta M., Machida T., Isogawa N., Yoshimatsu H., Viktrup L., Brown M.T., West C.R., Verburg K.M. Tanezumab for chronic low back pain: a long-term, randomized, celecoxib-controlled Japanese Phase III safety study. Pain Manag., 12 (2022) 323-335
105) Birbara C., Dabezies E.J. Jr., Burr A.M., Fountaine R.J., Smith M.D., Brown M.T., West C.R., Arends R.H., Verburg K.M. Safety and efficacy of subcutaneous tanezumab in patients with knee or hip osteoarthritis. J Pain Res., 11 (2018) 151-164.
106)  Schnitzer T.J. et al. Effect of Tanezumab on Joint Pain, Physical Function, and Patient Global Assessment of Osteoarthritis Among Patients With Osteoarthritis of the Hip or Knee: A Randomized Clinical Trial. JAMA, 322 (2019) 37-48.
107) Schnitzer T.J. et al. Onset and maintenance of efficacy of subcutaneous tanezumab in patients with moderate to severe osteoarthritis of the knee or hip: A 16-week dose-titration study. Semin Arthritis Rheum., 50 (2020) 387-393.
108) Markman J.D. et al. Tanezumab for chronic low back pain: a randomized, double-blind, placebo- and active-controlled, phase 3 study of efficacy and safety. Pain, 161 (2020) 2068-2078
109) Song G.G., Lee Y.H. Relative efficacy and tolerability of 2.5, 5, and 10 mg tanezumab for the treatment of osteoarthritis: A Bayesian network meta-analysis of randomized controlled trials based on patient withdrawal. Int J Clin Pharmacol Ther. 59 (2021) 147-155
110)  Walicke P.A. et al. First-in-human randomized clinical trials of the safety and efficacy of tanezumab for treatment of chronic knee osteoarthritis pain or acute bunionectomy pain. Pain Rep., 3 (2018) 653.
111) Cai Y.Z., Nie L.Y., Ruan J.Q., Zhao K. Effectiveness of Various Dosages and Administration Methods of Tanezumab for the Treatment of Pain in Knee and Hip Osteoarthritis: a Network Meta-Analysis. Clin Ther., 43 (2021) 2116-2126
112) Markman J.D., Schnitzer T.J., Perrot S., Beydoun S.R., Ohtori S., Viktrup L., Yang R., Bramson C., West C.R., Verburg K.M. Clinical Meaningfulness of Response to Tanezumab in Patients with Chronic Low Back Pain: Analysis From a 56-Week, Randomized, Placebo- and Tramadol-Controlled, Phase 3 Trial. Pain Ther., 11 (2022) 1267-1285
113) Berenbaum F, Langford R., Perrot S., Miki K., Blanco F.J., Yamabe T., Isogawa N., Junor R., Carey W., Viktrup L., West C.R., Brown M.T., Verburg K.M. Subcutaneous tanezumab for osteoarthritis: Is the early improvement in pain and function meaningful and sustained? Eur J Pain, 25 (2021) 1525-1539
114) Berenbaum F. et al. Subcutaneous tanezumab for osteoarthritis of the hip or knee: efficacy and safety results from a 24-week randomised phase III study with a 24-week follow-up period. Ann Rheum Dis., 79 (2020) 800-810
115) Yu Y., Lu S.T., Sun J.P., Zhou W. Safety of Low-Dose Tanezumab in the Treatment of Hip or Knee Osteoarthritis: A Systemic Review and Meta-analysis of Randomized Phase III Clinical Trials. Pain Med., 22 (2021) 585-595
116) Miki K., Ohta M., Abe M., Yoshimatsu H., Fujii K., Ebata N., West C.R., Brown M.T., Pixton G., Isogawa N. Efficacy, General Safety, and Joint Safety of Tanezumab in Japanese Patients with Osteoarthritis: Subgroup Analyses from Two Randomized, Phase 3 Studies. Pain Ther., 11 (2022) 827-844
117) Zhang B., Tian X., Qu Z., Liu J., Yang L.  Relative Efficacy and Safety of Tanezumab for Osteoarthritis: A Systematic Review and Meta-analysis of Randomized-Controlled Trials. Clin J Pain, 37 (2021) 914-924
118) Berenbaum F., Schnitzer T.J., Kivitz A.J., Viktrup L., Hickman A., Pixton G., Brown M.T., Davignon I., West C.R. General Safety and Tolerability of Subcutaneous Tanezumab for Osteoarthritis: A Pooled Analysis of Three Randomized, Placebo-Controlled Trials. Arthritis Care Res (Hoboken)., 74 (2022) 918-928
119) Fan Z.R. et al. Efficacy and safety of tanezumab administered as a fixed dosing regimen in patients with knee or hip osteoarthritis: a meta-analysis of randomized controlled phase III trias. Clin Rheumatol., 40 (2021) 2155-2165.
120) Konno S.I., Nikaido T., Markman J.D., Ohta M., Machida T., Isogawa N., Yoshimatsu H., Viktrup L., Brown M.T., West C.R., Verburg K.M. Tanezumab for chronic low back pain: a long-term, randomized, celecoxib-controlled Japanese Phase III safety study. Pain Manag., 12 (2022) 323-335.
121) Zeberg H, Dannemann M., Sahlholm K., Tsuo K., Maricic T., Wiebe V., Hevers W., Robinson H.P.C., Kelso J., Pääbo S. A Neanderthal Sodium Channel Increases Pain Sensitivity in Present-Day Humans. Curr Biol., 30 (2020) 3465-3469.
Torna ai contenuti