Le radiofrequenze nel PDTA del low back pain - Pathos

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Le radiofrequenze nel PDTA del low back pain

Radiofrequencies in low back pain PDTA
Clinical report
Pathos 2023; 30. 1. Online 2023, Mar 10
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Damiana Maurogiovanni, Gianpaolo Fortini, Daniele Bertollo
UOC Terapia del Dolore , Cure Palliative
ASST Sette Laghi, Varese
Direttore: Gianpaolo Fortini
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Riassunto
Gli autori presentano in dettaglio la proposta di un progetto mirato a ottimizzare, attraverso un percorso diagnostico terapeutico specifico, la qualità delle cure e il percorso del cittadino/paziente affetto da low back pain. Presentano inoltre i risultati di uno studio retrospettivo mirato a verificare l’impatto che le procedure di radiofrequenze abbiano all’interno di tale PDTA.
Summary
The authors present the proposal of a specific therapeutic diagnostic pathway; the quality of care and the journey of the citizen/patient affected by low back pain. They also present the results of a retrospective study aimed at verifying the impact that radiofrequency procedures have within this PDTA.
Parole chiave
Dolore, percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA), radiofrequenza
Key words
Pain, diagnostic-therapeutic pathway (PDTA), radiofrequency

Introduzione
Il low back pain (LBP) viene definito quale dolore, tensione muscolare o rigidità, con sede tra 12ma costa e pieghe glutee, con o senza irradiazione agli arti. Comprende lombalgie (cerniera L4-L5), lombosciatalgie (oltre il ginocchio L5/S1) e lombocruralgie (ant. coscia L3/L4). Più dell’80 per cento della popolazione mondiale ha sofferto di tale patologia almeno una volta nella vita.1
Il low back pain (LBP) costituisce un problema di rilievo sia per quanto concerne i costi delle cure sia per gli elevati costi sociali che comporta, in quanto rappresenta una delle maggiori cause di disabilità e assenteismo dal lavoro, colpendo maggiormente soggetti con età media di 55-60 anni. L’incidenza, inoltre, sembra essere destinata a incrementare nei prox anni: tra le 25 cause più comuni di DALY’s (disability adjusted life year) a livello mondiale, il LBP è passato dal quinto posto nel 2005 al quarto nel 2013 ed è in costante crescita.2 Negli Stati Uniti costituisce una delle maggiori cause di inabilità al di sopra dei 45 anni e la seconda causa di consulto medico.
La diagnosi di LBP è complessa e comprende sia aspetti clinici sia di diagnostica strumentale, ma anche psicosociali e multidisciplinari, potendo tale sintomo sottendere a cause meccaniche e non, ma altresì traendo origine in taluni casi da patologie di interesse chirurgico (per esempio FBSS ) o internistico (cause viscerali, come aneurisma addominale, patologie pelviche o renali).

Definizione
Il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) mira alla presa in carico del paziente e al governo della domanda secondo un approccio sistemico per ottimizzare la qualità delle cure e il percorso del cittadino/paziente, determinando un impatto organizzativo rilevante  nella realtà aziendale che lo utilizza.
I termini “diagnostico”, “terapeutico” e “assistenziale” contemplano la prospettiva di una presa in carico attiva e totale del paziente, la prevenzione della riabilitazione, la definizione di un percorso clinico condiviso e di una gestione spesso multiprofessionale che prevede diversi ambiti di intervento come quelli psicofisico, sociale, lavorativo e della disabilità;
La costruzione di un PDTA definisce una road map onnicomprensiva di obiettivi, ruoli e ambiti di intervento, aiuta a migliorare la costanza, la riproducibilità e l’uniformità delle prestazioni erogate; garantisce chiarezza delle informazioni all’utente e dei compiti agli operatori e aiuta a prevedere e minimizzare rischi e incidenza di eventi straordinari, facilitando nel contempo flessibilità e adattamento.
Obiettivo del PDTA è la realizzazione di un modello clinico organizzativo che miri alla condivisione di un percorso diagnostico terapeutico del paziente con dolore LBP, finalizzato alla diagnosi del dolore ed alla terapia condivisa. Questo percorso dovrebbe prevedere lo sviluppo di interfacce multidisciplinari e ospedale territorio nonché l’implementazione di specifiche ricerche e raccolte dati orientate non solo agli aspetti farmacologici e procedurali, ma a una visione d’insieme, secondo l’ottica della clinical governance.

Fisiopatologia e clinica dell’LBP
Nella costruzione del PDTA del LBP il primo step è rappresentato dalla corretta individuazione del pain generator resa complessa dall’ampia diversificazione delle patologie che possono sottendere a tale sintomo: protrusioni/ernie discali, malattia delle faccette articolari artrosica, anomalie congenite, squilibri statico/dinamici, infezioni (TBC, reumatismi), osteopatie metaboliche, fratture vertebrali, discopatia degenerativa,sacro ileite. Particolare attenzione va inoltre riservata all’analisi dell’anamnesi patologica remota del paziente che permette di escludere le Red Flags3 patologie gravi note cause di LBP quali tumori, aneurismi dell’aorta e osteomieliti.
Differenziare le tipologie del dolore LBP e le sue specificità è utile perché sono differenti gli obiettivi di cura e l’approccio terapeutico a seconda della patologia in essere. L’adeguata conoscenza dei meccanismi fisiopatologici alla base della manifestazione del sintomo dolore e la clinica rappresentano un valido aiuto nell’iter da seguire (Figura 1).

L’attuale sistema assistenziale in Italia è di tipo settoriale-specialistico, per cui ciascun soggetto erogatore (medico di medicina generale, specialista, ospedale) è qualificato per fornire assistenza con diversi gradi di complessità clinico assistenziale. Nel caso in cui il paziente sia portatore di dolore emergono diverse criticità che riguardano l’ambito diagnostico, correlate sia alla suddivisione dei professionisti afferenti alle diverse aree specialistiche che operano nell’area del dolore sia  all’avvalersi di protocolli operativi che non hanno origini nazionali ma spesso utilizzano modelli correlabili a particolari realtà sanitarie.
Di conseguenza, occorre considerare se il cittadino/paziente affetto da LBP sia stato visitato da altri specialisti (in primis eventuali pregresse valutazioni o interventi neurochirurgici, se abbia già intrapreso un percorso diagnostico o sperimentato opzioni terapeutiche e le risposte a esse ottenute.
Un adeguato e approfondito esame obiettivo consente di distinguere i segni (Delitala, Laségue, Dandy, Valleix, Wasserman) e i sintomi di una sindrome da compressione, irritazione o interruzione nonché il territorio radicolare di localizzazione ed eventuale irradiazione del dolore riferito e/o evocabile. Alterazione dei riflessi (es. Babinsky) e i test articolari del rachide lombare e dell’anca (test di integrità articolare, test di Gillet, test di Gaenslen e movimenti fisiologici attivi e passivi) completano la valutazione semeiologica.
In seguito al primo step, rappresentato dall'esame obiettivo e dai test semeiologici, il successivo può essere rappresentato dalle numerose tecniche diagnostico-strumentali, che consentono di approfondire ulteriormente lo studio delle alterazioni del rachide. Il terapista del dolore si trova spesso a continuare un percorso diagnostico-terapeutico iniziato da altri specialisti, ma in ogni caso ci sono alcuni esami strumentali che costituiscono un riferimento imprescindibile sia per la diagnosi sia per la strategia interventistica nelle procedure. Secondo le linee-guida europee, la RMN viene considerata il miglior esame di imaging per l’LBP.1
La Rx, seppur non raccomandata dalle stesse linee-guida per il rachide, rappresenta tuttavia il gold standard nella spondilolisi, nella spondilolistesi ed è utile nella degenerazione discale e nelle fratture vertebrali, specie in modalità dinamica.
L’RMN rimane il gold standard nell’ernia del disco e nella stenosi canalare, valutando la salute dei parenchimi e delle radici nervose, costituendo pertanto l’indagine di elezione nel sospetto di red flags. La TC rimane infine la tecnica di elezione per lo studio del rachide, fornendo informazioni finanche su corpi mobili endoarticolari, disidratazione dei dischi, stenosi del canale, presenza di geodi, sclerosi. Sebbene le linee-guida europee non raccomandino l’uso dell’EMG, quest’indagine può talvolta rendersi indispensabile per indicare il tipo e la gravità del danno nervoso e la radice nervosa interessata. A completamento, esecuzione di esami di laboratorio specie nel sospetto di una patologia reumatologica (es. spondilite anchilosante).
Occorre ricordare che in taluni specifici casi è possibile ricorrere altresì a iniezioni epidurali selettive, blocco diagnostico delle faccette articolari o blocco diagnostico dell’articolazione sacroiliaca quali manovre aventi valenza diagnostico-terapeutica.
Fin dalla prima visita si ipotizza quindi un PDTA che dovrà essere confermato o corretto dopo la terapia medica o la procedura diagnostica-terapeutica che si ritiene utile per procedere.
Al fine di ottimizzare le risorse, si propone di dividere i pazienti in tre categorie:
  1. Pazienti (NRS 2-3) da non prendere in carico (es. grandi anziani con artrosi che non abbiano già fatto 2° gradino della scala OMS senza beneficio) ma da rinviare al medico curante con lettera di accompagnamento.
  2. Pazienti  NRS 4-5) da inquadrare dal punto di vista diagnostico in cui iniziare con terapia medica (es. ciclo di cortisonico i.m. o passaggio a terapia  fissa + al bisogno). Questi pazienti possono essere rivalutati per procedure o rinviati al curante.
  3. Pazienti con dolore acuto (NRS >6) per cui partire subito con procedure a scopo diagnostico-terapeutico.

Se il medico ritiene opportuno attivare  la procedura diagnostico-terapeutica, imposta il percorso procedurale, fa firmare consensi e fissa la data della procedura.

Chi effettua la prima procedura deve verificare indicazioni, clinica, terapia in atto, allergie  e si assume la responsabilità dell’atto, identifica  metamero interessato o tipo di procedura (es. infiltrazione  caudale al posto della peridurale interlaminare) cercando di seguire le indicazioni. Ci si deve attenere ai protocolli concordati, fare la scheda chirurgica segnalando dati utili (nell'infiltrazione peridurale, mancata progressione del mezzo di contrasto, dolore per indirizzare la 2° procedura (2° IP, coblazione, RFG, PDS, SCS, invio a neurochirurgo) o il passaggio ad altro PDTA. È fondamentale  segnare sulla cartella di TA la procedura in modo preciso come consigliato dalla flow-chart, quando possibile è utile acquisire e archiviare le immagini.
Chi effettua la prima visita di controllo post-procedurale valuta la risposta diagnostico-terapeutica della procedura considerando i vari parametri: pain relief (NRS, PR), durata nel tempo, qualità di vita (Oswestry), riduzione dei farmaci e dell’uso di rescue dose; lascia documentazione scritta dove si indica il passaggio successivo alla procedura (altra IP, coblazione, periduroscopia, SCS) e programma tutto il percorso successivo. Eventuali manovre successive devono essere programmate dopo 15-20 giorni per dare tempo al cortisonico-deposito di agire. Nella flow-chart operativa del LBP si parte da procedure di bassa complessità (IP, blocco FA) e si passa, in base alla risposta, a procedure di media complessità o alta tecnologia (SCS, PDS). A volte arrivano pazienti che hanno già effettuato procedure diagnostico-terapeutiche (es. intraforaminali dei neuroradiologi) per cui si può passare direttamente a procedure più avanzate.
Nel PDTA della radicolopatia l’utilizzo di RFG  e PDS potenzialmente possono dare una risposta “intermedia” rispetto a SCS per cui possono essere utilizzate nei quadri dove SCS sembra sproporzionata per sintomi o per condizioni cliniche del paziente (paziente anziano, paziente con dubbia compliance, stenosi del canale). L’utilizzo delle RF nelle varie applicazioni (la coblazione del disco, RF FA, RF S-J, RFG) possono essere risposte risolutive o comunque di lunga durata ma è previsto che possano essere ripetute o susseguirsi perché agiscono su strutture diverse; emergono dati internazionali in cui le procedure con RF o PDS possano recuperare la progressiva perdita di efficacia anche della SCS.
La nostra casistica ci porta a identificare 3 tipologie di pazienti:
  1. Pazienti giovani e in età lavorativa con dolore acuto in cui le procedure possono essere risolutive; bisogna intervenire rapidamente utilizzando procedure invasive e risorse -> procedure a bassa, media e alta complessità
  2. Pazienti più anziani (65-75 anni) con buona qualità di vita  in cui le procedure possono essere effettuate ma per degenerazione della colonna e progressione dell’artrosi, si ripresentano dopo un certo periodo e beneficiano di ulteriori procedure che garantiscono risposte al dolore acuto ma che poi scivolano verso una cronicità che prevede la sospensione
  3. Pazienti anziani (> 75 anni) dove una buona qualità di vita non esclude procedure invasive ma dando preferenza a metodiche a media complessità (RFG, PDS), lasciando l’alta tecnologia (SCS, pompe intratecali) a pazienti più giovani

Opzioni terapeutiche
Attualmente abbiamo a disposizione diverse opzioni terapeutiche che costituiscono parte integrante del PDTA (Figura 2) con l’obiettivo di migliorare i tempi di attesa dell’iter diagnostico-terapeutico, migliorare gli aspetti informativi e comunicativi con il paziente/cittadino con garanzia di un piano personalizzato di intervento; ottimizzare e monitorare i livelli di qualità delle cure erogate, promuovere la partecipazione attiva dell’assistito alla gestione della propria malattia, favorire monitoraggio e gestione metodica dell’assistito da parte del medico, ottimizzare e razionalizzare l’accesso alle strutture specialistiche, garantire la cura delle eventuali complicanze con integrazione delle diverse competenze, migliorare il gradimento dell’utenza per i servizi ricevuti, attivare un sistema di monitoraggio delle modalità operative previste dal percorso.
Sebbene dal 23 al 48 per cento dei pazienti con lombosciatalgia da ernia del disco guariscano spontaneamente, ben il 70 per cento circa continua ad avere i sintomi dopo un anno. Ecco perché la terapia antalgica risulta essere spesso necessaria.1 Non bisogna dimenticare che il primo passo di un approccio terapeutico é quello farmacologico e solo dopo un suo fallimento vengono proposte metodiche interventistiche.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1996 ha proposto una scala di valutazione del dolore (in prima istanza solo per il dolore oncologico) e successivamente adottata anche come linea-guida per il trattamento del dolore muscoloscheletrico.

Nel trattamento farmacologico del LBP, come di tutti i disordini muscoloscheletrici, Il primo gradino consiste nel somministrare paracetamolo o FANS. Il paracetamolo è il metabolita attivo della fenacetina e sembra che possa inibire la COX-3 presente nel sistema nervoso centrale. Questo principio attivo é largamente utilizzato sia singolarmente sia in associazione ad altre molecole (tramadolo, codeina o ossicodone).
Diverse revisioni Cochrane hanno evidenziato invece come i FANS non siano più efficaci di analgesici oppiacei e miorilassanti nel sollievo dal dolore in pazienti affetti da LBP. Tre studi hanno documentato una sostanziale pari efficacia dei FANS e di programmi fisioterapici, manipolazioni spinali o “riposo a letto” in pazienti con lombalgia acuta.5
Il secondo gradino consiste nella prescrizione di oppioidi deboli come il tramadolo o la codeina, quest’ultima in Italia è disponibile solamente in preparazioni galeniche o in formulazioni orali in associazione con paracetamolo.
La codeina è un profarmaco e solamente il 10% della codeina somministrata viene trasformata in morfina; come tale, espleta l’effetto analgesico. La demetilazione a livello citocromiale è operata dall’enzima 2D6 -CYP 450 di cui esiste ampio polimorfismo genetico. Il 7-10 per cento dei soggetti caucasici è geneticamente privo di questo enzima (poor metabolizers); in questi soggetti il farmaco è pressoché inefficace per la mancata trasformazione in morfina. Situazione opposta invece si registra in circa 15-20 milioni di Europei, dove è presente una duplicazione del 2D6 (ultra rapid metabolizers); in questi soggetti quindi sono possibili effetti di tossicità acuta (nausea, allucinazioni, iperalgesia, eccetera) anche severi.
Il tramadolo è un farmaco analgesico il cui meccanismo d’azione è principalmente dovuto a un aumento della neurotrasmissione serotoninergica a livello del sistema nervoso centrale. La farmacodinamica del tramadolo non si limita a un aumento della neurotrasmissione serotoninergica: infatti, questo principio attivo agisce anche inibendo la ricaptazione della noradrenalina e interagendo con i recettori mu come agonista debole. La dose giornaliera raccomandata è tra 50-100 mg per via orale quattro volte al giorno, ma tenuto conto del duplice meccanismo d’azione, è suggerita un’attenta titolazione del farmaco per prevenirne gli effetti collaterali tipici (nausea, vomito, convulsioni). Dato il suo effetto emetico, è prassi l’associazione con un antiemetico e particolare attenzione deve essere posta all'eventuale associazione con gli antiemetici metoclopramide e ondansetron.
L’ondansetron, essendo un antagonista serotoninergico, può bloccare l’attività analgesica del tramadolo. Purtroppo il tramadolo è il farmaco più frequentemente protagonista di inappropriate o controindicate associazioni farmacologiche responsabili di reazioni avverse da farmaco anche fatali.6
Al terzo gradino appartengono farmaci come morfina, ossicodone, buprenorfina, fentanyl e tapentadolo e il loro uso è indicato quando l’intensità del dolore è severa, almeno maggiore o uguale a 6 nella scala NRS.
Le linee-guida sulla gestione del dolore suggeriscono, verificata l’intensità del dolore, di cominciare la terapia con il farmaco più adeguato. Quindi, se il paziente lamenta un dolore cronico di intensità 8 sulla scala NRS bisogna partire con la terapia farmacologica dall’ultimo gradino, saltando il secondo.7 Nella nostra esperienza, quando si utilizza un oppioide è fondamentale partire dai dosaggi più bassi e salire molto gradualmente utilizzando sempre la profilassi per la nausea e la stitichezza, oltre a un’accurata informazione al paziente.
Il tapentadolo è una molecola di recente sintesi, ha affinità sui recettori µ degli oppioidi e contemporaneamente un’azione di inibizione del reuptake di noradrenalina e serotonina. Il tapentadolo esercita i propri effetti analgesici in modo diretto senza alcun metabolita farmacologicamente attivo. I pazienti devono iniziare il trattamento con questo farmaco con il dosaggio più basso possibile per poi aumentarlo alla dose che permette di controllare la sintomatologia dolorosa. Generalmente si inizia il trattamento con dosi comprese tra 50-200 mg/die. Si tratta di un farmaco molto maneggevole che permette l’utilizzo anche in pazienti con insufficienza renale lieve-moderata e danno epatico lieve.
Gli effetti collaterali più frequenti consistono in nausea, vertigini, cefalea e stipsi e proprio quest’ultima può essere combattuta assumendo insieme al tapentadolo un lassativo. In seguito a improvvisa interruzione del trattamento con tapentadolo, possono verificarsi sintomi di astinenza: il farmaco deve quindi essere sospeso gradualmente.
Diversi studi sostengono la maggiore o uguale efficacia clinica del tapentadolo nel trattamento del LBP rispetto ad altri oppiodi forti come l’ossicodone e la maggiore o l’equianalgesia del tapentadolo viene raggiunta con un’incidenza di effetti collaterali della metà dell’ossicodone. (miglior tollerabilità gastrointestinale).8,9
Prima di iniziare un trattamento con farmaci oppiodi, così come prima di candidare un paziente a metodiche interventistiche variabilmente complesse ( come trattato di seguito), è necessario  richiedere  una valutazione psicologica nonché, in alcuni casi selezionati, affidare la gestione della terapia farmacologica al SERT (Servizi per le tossicodipendenze). Ciò al fine di evitare, in soggetti fragili, il fenomeno di addiction. Il SERT è un servizio pubblico gratuito dell’SSN presso cui operano professionisti quali medici, infermieri, educatori, assistenti sociali e psicologi. Chi si rivolge è tenuto a fornire i propri dati anagrafici poiché potrebbero essere dispensati farmaci considerati dalle leggi italiane come stupefacenti (buprenorfina, metadone, gamma-idrossibutirrato). Al momento della dispensazione viene rilasciato un certificato, in forma di etichetta autoadesiva o cartacea, che consente il possesso della molecola per fini terapeutici. Alcune strutture ricorrono al riconoscimento del paziente, del medico prescrivente e del dispensatore del farmaco tramite un codice identificativo. I SERT attuano interventi di informazione, prevenzione, riduzione del danno, sostegno, orientamento, e cura delle dipendenze sia dei pazienti che dei loro congiunti. Accertano lo stato di salute psicofisica del soggetto, definendo programmi terapeutici individuali da realizzare direttamente o in convenzione con strutture di recupero sociale, e valutano periodicamente l'andamento e i risultati del trattamento e dei programmi di intervento sui singoli tossicodipendenti in riferimento agli aspetti di carattere clinico, psicologico e sociale.
Proseguendo lungo il percorso, a seguire vi è l’applicazione di metodiche di bassa, media o alta complessità che consentono di implementare le possibilità interventistiche a nostra disposizione. Le metodiche di bassa complessità hanno un costo contenuto rispetto alle metodiche di media e alta complessità anche se il beneficio è minore sia in termini quantitativi che qualitativi. Le iniezioni nello spazio peridurale di una miscela di anestetico e cortisone hanno una buona evidenza scientifica nel trattare il LBP causato da ernia del disco mentre hanno una scarsa evidenza scientifica nel trattare LBP da discopatia degenerativa. Sono molto efficaci nel breve termine ma non nel lungo termine. I blocchi delle faccette articolari non hanno un beneficio a lungo termine però possono essere ripetuti nel tempo se risultano efficaci (buon pain relief) senza complicanze particolari. Il blocco della sacro-iliaca è la terapia più comune nel trattamento del LBP da sacroileite.10
Tra le metodiche di media complessità vi è la radiofrequenza, costituita da onde elettromagnetiche ad alta frequenza fornite attraverso un ago con punta a vista o con un elettrocatetere, che generano localmente un campo elettrico con relativa produzione di calore (Figura 3). La radiofrequenza pulsata (RFP) mantiene la temperatura della punta dell'elettrodo tra i 40-42°C durante l'intera procedura, consentendo la neuromodulazione delle radici dorsali e prevenendo la distruzione delle cellule. La RFP ad ago viene effettuata mediante posizionamento dell’ago per via transforaminale in prossimità della radice nervosa nella sua posizione post gangliare sotto controllo radiologico e conferma mediante iniezione di mdc. La RFP con elettrocatetere si esegue con l’inserzione dell’elettrocatetere attraverso lo iatus, conferma radiologica, peridurografica e neurostimolazione. La RFP sembra causare danni microscopici e intracellulari (ad esempio, edema dei mitocondri e del citoscheletro, disorganizzazione di microfilamenti e microtubuli, riarrangiamento della mielina) dopo l'applicazione di un campo elettrico sul ganglio dorsale con un effetto termico lieve. Inoltre influenzerebbe nel medio periodo l’espressione genica di c-fos, TNF ? e IL-6 coinvolti nel meccanismo di infiammazione neurale e mantenimento dell’ipersensibilità della radice nervosa. L’obiettivo è quello di ridurre l’infiammazione e ripristinare la funzione del nervo, con benefici che possono durare per diverso tempo a seconda della patologia e della durata del trattamento. E’ una terapia ambulatoriale che viene eseguita in day surgery , dura pochi minuti e viene effettuata sul paziente sveglio, in posizione prona. La RFP è applicata in modo particolare per alcune specifiche patologie come:  il dolore cronico nella zona pelvi-perineale, l’LBP specie con irradiazione agli arti inferiori, l’artrosi, alcuni tipi di degenerazione del disco e di recidiva dopo chirurgia, FBSS, mono o pluriradicolopatie , stenosi canalari. In seguito alla terapia di solito vengono consigliati esercizi di ginnastica posturale e/o fisioterapia per ottenere risultati ancora migliori.
La radiofrequenza del ganglio è una tecnica interventistica che consiste nel “bombardare”la radice nervosa responsabile della sintomatologia dolorosa con le radiofrequenze. Ecco perché prima è necessario comprendere con certezza quale radice sia responsabile della sintomatologia. Previa anestesia locale si inseriscono degli elettrodi per la radiofrequenza in prossimità della radice per via percutanea attraverso fluoroscopia.
La radiofequenza continua infatti si riferisce a procedure percutanee lesive mirate ad effettuare neurolesioni a livello del sistema somatosensoriale (principalmente nocicettivo) centrale e periferico. Le radiofrequenze di interesse clinico sono di 300-500 KHz. Il segnale a radiofrequenza è applicato attraverso un elettrodo isolato, eccetto che per la sua parte distale detta punta attiva intorno alla quale si realizzano gli effetti biologici di interesse, indotti dal calore. La corrente totale che entra nel corpo è uguale alla corrente che lascia l’organismo attraverso una piastra disperdente. Usi non intranervosi: neurotomia della branca mediale del nervo seno vertebrale, neurotomia dell’articolazione sacroiliaca, termorizotomia gangli spinali (non usata), neurotomia ramo comunicante grigio (poco usata), gangli simpatici (cervicali-lombari), anuloplastica RF, coblazione (RF bipolare). Usi all’interno del tessuto nervoso: termorizotomia trigeminale , cordotomia cervicale percutanea.
La radiofrequenza delle faccette articolari è una metodica interventistica che consiste nell’emissione di radiofrequenze a livello dei rami nervosi primari posteriori che innervano l’articolazione zigoapofisaria. La radiofrequenza della sacroiliaca è una procedura simile a quelle precedenti solo che si va ad intervenire sull’articolazione sacroiliaca individuata come causa del LBP. Attraverso la fluoroscopia si identificano i fori sacrali S1, S2 e S3 da dove escono i nervi posteriori e con l’ago si arriva tra questi e l’articolazione sacroiliaca. Una volta che l’ago tocca l’osso sacro lo si retrae di circa 10 mm dal bordo laterale dei fori sacrali posteriori. La proiezione laterale qui risulta fondamentale per accertarsi di essere nella corretta posizione. Il mandrino si sfila dall’introduttore e si inserisce il catetere con gli elettrodi per poter effettuare la terapia. Dopo i soliti test di stimolazione si può partire con la terapia.
Dopo aver effettuato la radiofrequenza si può iniettare attraverso il canale operatore la miscela farmacologica composta da anestetico e cortisonico.11
La nucleoplastica, ultima delle metodiche di media complessità trattate, è una tecnica di decomposizione discale che comprende a sua volta diverse procedure come la decompressione laser, la nucleotomia e la coblazione. La nucleoplastica mediante coblazione trova indicazione nel trattamento dei pazienti affetti da lombalgia persistente, con o senza componente radicolare periferica, scatenata da un’ernia discale contenuta (bulging) e anche ernie piccole o medie. Il principio razionale di questa tecnica è quello che, facendo rientrare la protrusione discale, la sintomatologia scompare perché la radice non viene più compressa da una parte e perché con la coblazione si rimuove il materiale degenerato del nucleo del disco.
I criteri di esclusione di questa tecnica sono:
  • perdita del 50% dell’altezza discale
  • ernie discali completamente estruse o sequestrate
  • tumore o frattura vertebrale
  • stenosi spinale moderata o severa
  • lacerazione dell‘anulus discale
  • instabilità degenerative.
La coblazione (C= controllata + ablazione) utilizza energia a radiofrequenza associata a un mezzo conduttivo per produrre un campo di plasma costituito da particelle ad elevata ionizzazione, in modo da determinare la rottura dei legami organici molecolari nel tessuto. Il plasma è essenzialmente una miscela di ioni eccitati. La coblazione permette quindi di rimuovere il materiale nucleare del disco e di creare canali in quest’ultimo per permettere alla protrusione di rientrare. Le potenziali complicazioni sono la lesione ai nervi, emorragie e discite.12
Delle metodiche di alta complessità fanno parte la neurostimolazione midollare (SCS) basata sulla stimolazione elettrica selettiva del midollo spinale tramite degli elettrocateteri, impiantati nello spazio epidurale e connessi a un generatore di impulsi, al fine di modificare la percezione del dolore nelle zone algiche. Lo stimolo elettrico erogato si traduce nella percezione di una parestesia da parte del paziente (sensazione simile a un “formicolio”) che si sostituisce alla sensazione dolorosa.
L’Epidurolisi consta nel posizionamento di un catetere peridurale transacrale armato per la somministrazione di farmaci (ialuronidasi, cortisonici, anestetico locale e soluzione fisiologica) nello spazio peridurale  tra la dura madre e il legamento giallo che ricopre la parte ossea interna del canale spinale, al fine di ottenere una “liberazione” delle radici nervose compresse in seguito a un pregresso intervento sul rachide o a causa di aderenze formatesi in seguito a patologie infiammatorie/degenerative (sindrome post laminectomia, LBP, ernie discali, stenosi spinale). Le aderenze cicatriziali possono contribuire infatti al manifestarsi del dolore radicolare, stirando o comprimendo le radici nervose. Per agire con precisione sulla radice che causa il dolore, è possibile stimolarla elettricamente, così da far percepire al paziente un formicolio nella zona corrispondente (peridurolisi elettroguidata). La procedura, per la quale è necessario un ricovero, si svolge in sala operatoria con tecnica sterile e sotto controllo radiografico (peridurografia). Il beneficio comparirà gradualmente nei giorni successivi all’intervento e potrà arrivare a protrarsi, a seconda della gravità del quadro clinico, per 3-6 mesi. La metodica potrà essere ripetuta dopo almeno 3 mesi. Vi è indicazione a eseguirla dopo il fallimento del trattamento conservativo con terapia fisica, chiropratica, terapia farmacologica e iniezioni epidurali con guida fluoroscopia.

Materiali e metodi
In questo studio si sono analizzati retrospettivamente alcuni dati raccolti di routine nel PDTA standard del Centro di Terapia del Dolore di Varese e contenuti nelle cartelle dei pazienti che hanno eseguito metodiche di media/alta complessità (RF e/o impianto elettrostimolatore temporaneo/ definitivo) tra gennaio 2018 e ottobre 2020. I pazienti inclusi in questo studio sono 51: 21 maschi e 30 femmine, tutti maggiorenni (età media 67±2,55) e 22 su 51 sono in età lavorativa (convenzionalmente considerata sotto i 65 anni). Tutti pazienti hanno diagnosi di LBP da almeno 3 mesi; in tutti i pazienti sono fallite le terapie conservative farmacologiche e le metodiche di bassa complessità. In 16 pazienti vi è diagnosi di FBSS. Nell’80 per cento dei pazienti trattati con metodiche di media/alta complessità c’erano contemporaneamente diversi possibili fattori implicati nella genesi del LBP. A differenza di altri studi non sono stati esclusi pazienti con diagnosi di depressione, che nel nostro studio rappresentano il 3,4 per cento del totale. Non sono stati invece considerati i pazienti affetti da LBP di patogenesi tumorale, né pazienti sottoposti a impianto ESM con diagnosi di patologia vascolare/ AOAI. Tutte le procedure interventistiche di media/alta complessità sono state eseguite in Day Surgery presso l’Ospedale del Circolo di Varese. Di questi 51 pazienti 14 hanno fatto la RF FA, 2 la RF SJ, 11 la coblazione e 13 RF GAG, 11 hanno impiantato un ESM. Quest’ultimi sono stati sottoposti a una valutazione psicologica clinica prima dell’intervento. Due pazienti sono risultati affetti da sclerosi multipla e uno da nevralgia posterpetica. Tutti i pazienti sottoposti a procedura hanno dovuto sospendere le terapie preoperatorie anticoagulanti e antiaggreganti in corso. Nel 99 per cento dei casi hanno assunto oppioidi a scopo antalgico, associati a FANS. 33 pazienti su 51 sono stati sottoposti a ripetute procedure a bassa complessità (IP, IF SJ, IF FA, punti trigger), con minimo temporaneo beneficio. Ciò a conferma del fatto che le radiofrequenze costituiscono una metodica da applicare, secondo un modello procedurale a piramide, nel trattamento di pazienti più complessi. Per ognuna di queste cinque metodiche si è utilizzato un protocollo specifico, che rappresenta il PDTA standard del Centro di Terapia di Dolore di Varese, frutto dell’esperienza maturata negli anni.
Lo studio si pone come obiettivo quello di effettuare una revisione della casistica clinica dei pazienti in follow up, in molti casi già da 4-6 anni, per verificare l’impatto che le procedure di radiofrequenze cui sono stati sottoposti, abbiano  all’interno del PDTA al fine di comprendere se:
1) Le radiofrequenze possano essere considerate o meno un valido strumento terapeutico, in grado di rappresentare procedure efficaci e mirate sul singolo paziente, e nel contempo avere un contenuto impatto economico (interventi in day surgery con ridotta ospedalizzazione e complicanze, ridotto rischio biologico, scarsa invasività, brevi tempi di esecuzione), in un quadro di gestione delle risorse che si ponga come obiettivo attuale un loro adeguato efficientamento.
2) Le radiofrequenze possano essere considerate o meno un valido strumento diagnostico avanzato in un Centro di Terapia del Dolore di II livello, che ci permetta di indagare in modo più preciso il pain generator e avviare il paziente verso un successivo eventuale step clinico-terapeutico più ragionato e adeguatamente modulato. Ciò implica altresì la possibilità di candidare a procedure di ancor maggiore complessità pazienti più selezionati o porre indicazione a un intervento neurochirurgico se necessario.
L’outcome delle metodiche di media complessità è stato misurato con le scale del dolore NRS (Numerical Rating Scale) e ODI (Oswestry Disability Index). Questi dati sono stati raccolti sia nella visita preoperatoria prima della procedura di media/alta complessità, sia nella visita a tre settimane dall’intervento.
Il metodo NRS è meno discriminante rispetto alla VAS, ma supera l’ostacolo della coordinazione visiva e motoria richiesta per eseguire quest’ultima e offre quindi maggiori possibilitá di comprensione da parte del paziente.
Per questi motivi abbiamo scelto la scala NRS nel nostro studio rispetto alla VAS che seppur sia uno strumento valido non sempre risulta di immediata comprensione per il paziente.
L’ODI è un indice che deriva dal questionario di Owestry e che va a misurare l’impotenza funzionale.
È da molti autori considerato il gold standard per indagare il livello di disabilita e la qualità della vita di un paziente affetto da LBP. In base alla percentuale espressa si può fare una valutazione quali-quantitativa della disabilità:
  • Da 0% a 20% è disabilità minima
  • Da 21% a 40% è disabilità moderata
  • Da 41% a 60% è disabilità severa
  • Da 61% a 80% è disabilità grave
  • Da 81% a 100% è disabilità completa
Le variabili in studio sono state descritte utilizzando le principali statistiche descrittive: media, mediana e deviazione standard per le variabili quantitative, frequenze percentuali per le variabili qualitative.
L’analisi dell’associazione tra variabili di tipo quantitativo (NRS prima e dopo la procedura, ODI prima e dopo la procedura) è stata condotta per mezzo del test di Wilcoxon. Il livello di significatività considerato è stato sotto p< o uguale a 0,05.
Abbiamo suddiviso i pazienti arruolati nel nostro studio in 3 categorie in base all’analisi incrociata dei dati onnicomprensivi di età, sesso, durata di follow up clinico presso il Centro di Terapia Antalgica, precedenti procedure effettuate, diagnosi, utilizzo di oppioidi pre e post procedura ed eventuali variazioni del dosaggio di somministrazione, tipo di procedura a media/alta intensità effettuata e valutazione del dolore pre e post procedurale con indici ODI e NRS, ed infine assenza/presenza di beneficio post procedurale (Figura 4).
1) Low responders: pz non responders (NRS <50%) o responders <1 mese
2) Medium responders: pz responders con NRS >50% tra 1 e 2 mesi
3) High responders: pz responders >2 mesi
Il 70 per cento dei pazienti sottoposti a procedura di radiofrequenze rientra nella categoria 2) e 3), avendo infatti avuto beneficio post procedurale in termini sia di riduzione del dolore per almeno 2 mesi sia di riduzione del la posologia o sospensione dei farmaci oppioidi che stava assumendo in terapia, in  alcuni casi ritornando  ai soli FANS, in altri sospendendo del tutto la terapia antidolorifica. Inoltre, vi è stato un conseguente miglioramento, seppur variabilmente temporaneo e da rapportare a età ed eziopatogenesi nonché comorbidità sottesa alla sintomatologia, della qualità di vita e dell’autonomia nello svolgimento delle ADL.
Analizzando i pazienti che invece costituiscono il 30 per cento compreso nella categoria 1), ci soffermiamo su alcune considerazioni (Figura 5). E’ infatti una categoria eterogenea per età di riferimento (dai 53 ai 73 anni), causa patologica del dolore e pain generator, comorbidità, compliance al follow up e alla terapia medica in atto. Non trascurabile è l’importanza da attribuire alla presenza di problematiche psicosociali preesistenti (disturbo ansioso depressivo, pazienti con fragilità per problematiche di addiction spesso seguiti dal SERT, pazienti in carico ai servizi sociali), non sempre facili da individuare in quanto a volte questi disturbi si manifestano per la prima volta o in modo più evidente solo a procedura ormai eseguita. Inoltre, oggettive difficoltà all’esecuzione della radiofrequenza insorgono per un’anatomia rachidea resa difficile da possibili alterazioni strutturali inveterate, spesso deformanti (artrosi di lungo corso specie nei soggetti over 65), o dalla presenza di mezzi di sintesi/fissazione della colonna (FBSS). La presenza di più concause determinanti e/o scatenanti il dolore può essere altresì all’origine di uno scarso beneficio derivante da tale procedura, per esempio pazienti che hanno quadri intermedi di dolore misto, in parte artrosico, neuropatico da radicolopatia, muscolare, vascolare. Ciò genera un’effettiva difficoltà diagnostica nell’individuare il pain generator compromettendo in alcuni casi l’appropriatezza stessa della metodica.

Conclusioni
I risultati statistici dello studio retrospettivo da noi condotto dimostrano il significativo ruolo che le radiofrequenze, quali procedure a media complessità, rivestono all’interno di un PDTA complesso. Consentono infatti di selezionare in modo più efficiente i pazienti da sottoporre a ulteriori step terapeutici, specie se di complessità alta, riducendone i fallimenti e ottimizzando le risorse disponibili. Quando viene data indicazione a effettuare radiofrequenza in un paziente giovane in età lavorativa, ciò è spesso correlato a un quadro clinico sintomatologico di maggiore severità che implica una patologia più grave  o una comorbidità articolare maggiormente invalidante. Di conseguenza, l’utilizzo delle radiofrequenze è da inserirsi in un percorso che, molto ragionevolmente, comporterà l’esecuzione di molteplici procedure dalle più semplici alle più complesse, dello stesso tipo o di tipologia differente nonché più frequenti nel tempo. Nel paziente anziano, considerando patologie e comorbidità di medio - lungo corso,  maggiore sedentarietà, cessazione dell’attività lavorativa, maggiore fragilità e sensibilità alle terapie farmacologiche, le radiofrequenze costituiscono una preziosa risorsa quando efficaci, anche se il beneficio riferito dal paziente dovesse essere di breve periodo (1-2 mesi).
Ciò si inserisce nell’ottica che esse rendano possibile un temporaneo stato di benessere e sollievo dal dolore per il paziente, riducendo o sospendendo l’assunzione di farmaci (spesso oppioidi) e gli restituiscano una migliore qualità di vita e una maggiore autonomia nelle attività quotidiane. Difficilmente i pazienti anziani e grandi anziani sono da ritenersi candidabili a procedure ad alta complessità, quali ad esempio, l’impianto di un elettrostimolatore; ciò correla sia con un’oggettiva difficoltà di gestione clinica e terapeutica di tali dispositivi, sia con la necessità di un adeguato efficientamento delle risorse.
In conclusione, si è dimostrato con sufficiente significatività statistica che a oggi le radiofrequenze costituiscono uno step essenziale intermedio da compiersi nel contesto di un PDTA ragionato, rappresentando sia una valida alternativa terapeutica sia un valido strumento diagnostico nel LBP, in un’ottica di sempre maggiore richiesta di capacità gestionale adeguata delle risorse disponibili. Tale obiettivo tuttavia è da raggiungersi sempre e comunque avendo ben chiaro che il focus centrale delle nostre scelte è sempre il raggiungimento di un equilibrio dello stato di benessere psicofisico dei pazienti.

Conflitto di interessi
Gli autori dichiarano che l’articolo non è sponsorizzato ed è stato redatto in assenza di conflitto di interessi.
Open Access-license (CC BY-NC 4.0)
Published
10th March 23
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